Da settimane Sandro è fermo, può voltare soltanto la testa. Lo aiutiamo a sedere sul letto, le gambe penzoloni e gli avambracci appoggiati a una barra che abbiamo fissato. Alcuni cuscini e una fascia agganciata alle strutture lo cingono, ma sta poco, a stento il tempo di qualche boccone che la mamma gli porge. Non riesce a sostenere il capo, e subito cominciano le operazioni per riposizionarlo sdraiato.
Si sente stravolto dalle vertigini e dalle allucinazioni ormai frequenti; allora dice flebilmente "aiutatemi"; ti fai vicino, un contatto, una parola, ma è poco. Improvvisamente Sandro si rivolge alla zia infermiera.
"vorrei, vorrei sapere se c'è ancora speranza"
"speranza di che cosa ?"
"di guarire...se è stato tutto inutile"
"ma cosa dici, sai che i farmaci non fanno effetto subito, ci vuole tempo"
Qui non reggono l'idea di informare il malato. Angoscia profondamente vedere un uomo privato della consapevolezza delle sue ultime ore, è come fosse derubato della libertà e della vita che gli resta, in certo senso anche di quella passata.
So che devo rispettare le loro scelte ma spontaneamente, con decisione e tono pacato, taglio il discorso alla zia.
"Sandro non è stato e non è inutile, noi siamo molto contenti che tu sia qui con noi, anche noi soffriamo insieme a te e ti vogliamo bene. Nessuno, né per te né per ciascuno di noi, nessuno può dirci che cosa succederà domani. Accontentiamoci tutti di vivere giorno per giorno, anche tu con noi, se siamo capaci, con fiducia e in pace. Niente è stato inutile Sandro".
Non so da dove mi siano venute improvvisamente queste parole, ma non ho saputo dire di meglio. Non so neppure perché si sia quietato; dopo ricordo soltanto il suo silenzio.
Lo guardo. Ogni segno di vita ora è proprio relegato al viso. Questo corpo inerte, deformato, avvolto dall'affetto di tutti ma estraneo anche a Sandro, è una cosa che curi, sposti, ma lui lo trovi soltanto in quegli occhi umidi, nel viso. Oggi mi ha chiesto di muovergli il capo in una posizione diversa. Dice che così va bene. Si assopisce spesso; l'occhio sinistro deformato, sporgente, resta aperto anche quando l'altro è chiuso nel sonno.
Ha mormorato qualcosa.
La mamma "Sandro hai parlato?"
"no stavo sognando"
La mamma si rivolge a me, accennando un sorriso: "sta sognando, forse nel sogno cammina".
Giugno.
Sono stati giorni lunghissimi a fine giugno, vorrei dire crudeli per questo procedere troppo lento, inesorabile. Giorni e notti con un respiro che arranca. Non mangia più, non beve. A marzo, in aprile, ci sono stati anche momenti di allegria, abbiamo persino riso insieme, ma ora non è più tempo.
Ogni giorno nel tardo pomeriggio arriva Maria Teresa, l'infermiera dell'Unità di Cure Palliative: è persona attesa e amata. La professione che possiede saldamente e la carica affettiva che trasmette ne hanno fatto il perno, il punto di riferimento quotidiano per la famiglia e per Sandro.
Siamo tutti stanchi, i genitori sfiniti eppure forti per vegliare sul figlio: c'è la zia e ci alterniamo perché possano riposare, riposare anche lo sguardo da quell'osservare incessante. Adesso si parla adagio per non disturbare, si sta anche zitti; sembra sempre imminente, eppure passano i giorni.
Ricordo che una volta Sandro mi ha detto "in America ci sono delle macchinette che regolano la vita come vuoi". Mi interessava l'idea naturalmente, e quieti ne abbiamo parlato, senza scandalo e senza assenso. Anche oggi qualcuno non ne può più, e dice che "basterebbe un'iniezione, ma qui in Italia non si può"; questo sfogo non chiede parole di ritorno, vuole soltanto essere ascoltato; la comprensione si fa più grande, condividi la sua e ormai la tua sofferenza, gli stai vicino, gli vuoi bene. Oggi non trovo risposta.
L'ora è insolita ma vado da Sandro, è troppo grave. Siamo insieme nella stanza in silenzio. Questo respiro non ha più ritmo, le pause sono troppo lunghe ti fanno pensare che sia l'ultimo, poi ti ricredi perché un altro ne viene, e un altro, fuori tempo. Basta.
Gli sguardi si sollevano, si incrociano, si fermano per un lungo istante negli occhi dell'altro; c'è un sospiro lieve, forse di riposo. E' il dono della morte. E' accolta da tutti con semplicità, con naturalezza; la mamma però deve convincersi poco a poco.
Non so immaginare la mano che stringe una siringa, forse un giorno oppure mezz'ora prima...la morte ci chiede di riconciliarci con la vita. Ti resta sempre un senso profondo di riconoscenza, il bisogno di ringraziare: Sandro mi ha accettato nei mesi forse più difficili della sua esistenza, i genitori mi hanno sempre accolto come "uno della famiglia", Maria Teresa, per me un esempio e una scuola. Pensavi di dare e vedi quanto hai ricevuto.
La ricchezza di questo amore e della sofferenza che ho conosciuto si stempera in me nella fede che tento di vivere, e guardo in un orizzonte più ampio e incomprensibilmente gioioso la nuova realtà di ciò che è stato. Il tempo sbiadisce i ricordi della sofferenza, e l'amore che hai vissuto si sedimenta nel tuo animo sino a diventare te stesso, a diventare preghiera.
Può sembrare contraddittorio, eppure proprio questo richiamo all'amore, al servizio, mi impone oggi di "ritirami" da Sandro. Non devi "possedere" il malato, non devi tenere per te il suo affetto e neppure il suo dolore: anche il malato è di Dio, non tuo.
Così, libero, sereno nello spirito e nel volto, potrò avvicinare ancora un malato e chiedergli se mi vuole accogliere.