mercoledì 23 gennaio 2013

La relazione verso la fine (Q. di L. 65°)







       ( segue da 64°)

       Il malato può intravedere che " i fatti" soltanto sono inadeguati a spiegare la vita, il cuore del suo disagio ha bisogno di uno sguardo che li oltrepassi. Allora il colloquio diventa personale, vivace: vengono i chiarimenti, le osservazioni, i commenti si intrecciano, si ridimensionano; si svelano nuovi stati d'animo. Nel colloquio l'intuizione dell'uno e dell'altro o la domanda lasciata in sospeso aiutano, come una piccola luce, a portare più in là il pensiero. Tutti sentiamo il bisogno di vivere vicino a quelli che lasciamo, anche gli assenti, il bisogno del loro amore, di fare pace, di chiedere e dare perdono.
       Un nuovo percorso di riflesione può aprirsi verso una speranza pacificante. Un cammino a tratti incerto, iniziato insieme al volontario nell'abituale rapporto di rispetto affettuoso e prudente, di attenzione a preservare la coscienza del malato nella sua libertà; con la determinazione da parte del volontario a conservare la propria identità, ad evitare esibizioni di fede (ché, se fede esiste, il solo essere sé stessi la esprime), e il buonismo emotivo (comportamento alla fine irrispettoso dell'altro).