Nel torace un gorgoglio sordo, si espande, si riduce, accompagna il ritmo del respiro. Si affievolisce, si è ritirato lì tra cuore e gola. Il pulsare tenue di una vena sul collo. Immobile.
E' l'attimo più difficile, del dolore più intenso. L'aria, i suoni, le cose, tutto si è fermato, come in sospensione. Non vi è nulla da attendere né da ascoltare, eppure si attende e si ascolta; forse la voce dell'ultimo silenzio, qualche istante soltanto, forse è ancora vita.
Lo so che tante volte siamo stati zitti insieme, ma questo silenzio è irreale, è il mio amico che è diventato silenzio.
Il tempo mi richiama, divide i vivi dai morti. Ora il mio amico mi ha lasciato.
"...nelle tue mani, Signore..."
Nel ricordo la presenza di parenti, amici nella casa del morente; riaffiorano immagini, gesti, voci e silenzi, affetti che sembrano dilatarsi nella sofferenza, parole bisbigliate, sguardi di richiesta e di offerta di amore.
Ma anche altro ricordo. Parole oscene gridate alla Morte. Ho conosciuto chi l'ha offesa per pura superficialità, in un agire sconsiderato sul morente o sulla salma; è l'inutilità, la prevaricazione del "fare". Parole tristi, scenari sconvolgenti, votati al nulla. La Morte non chiede elogi, ma offenderla, prendersi gioco di lei è profanare un mistero.
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