Marzo
Appuntamento alle quattro e mezza. L'infermiera è puntuale; un caffè insieme poi qualche parola ancora, per saperne di più. Entriamo.
E' gente affabile, semplice. La stanza risulta subito stretta, qualcuno deve rimanere in piedi. Letti, armadi, mobili, la tele, sul comò tante medicine. Lui steso di schiena, oppresso dalla sua mole, a stento muove testa e braccia, i lineamenti sottili del viso persi in un gonfiore che cancella la forma del collo. Mani e gambe esili. L'immobilità e la conformazione attuale del corpo rendono problematica la raccolta delle urine. Spesso è scoperto.
Ci sono altre stanze, ma in questa batte il cuore della famiglia: qui in tre passano il giorno e la notte.
Parla la madre, il padre, poi la madre, la madre, il padre: poi la madre, parlano di lui malato, della sua malattia, del "suo" ospedale, dei medici, sanno come lui si sente, come sta, cosa vuole. E' un muro che sale. Eppure troverò il modo per fare breccia. Ora si ascolta soltanto, al più si fa un cenno. Il figlio malato ha 32 anni, anche prima viveva in casa. Vorrei essere nei suoi pensieri, come me ascolta in silenzio, ma lui per la centesima volta.
Penso ai genitori così stanchi, alla loro necessità di parlare in continuazione, a questa affettuosa inconscia violenza. Giorno e notte, pesantissimo lo stress che sopportano, forse per questo non si rendono conto che si ha bisogno anche di stare zitti. Ma il silenzio ti è amico se sai da dove viene e dove riporlo in te; forse a loro porta ricordi ora insostenibili, forse racconta già un domani col quale non hanno ancora fatto pace. Sei davanti alla sofferenza, davanti a un mistero; vorresti essere capace di un' umiltà più profonda, sono io a dover etare zitto qui ad ascoltare soltanto. Questa gente ti affascina, in un lampo di tempo ti insegna la vita, le vuoi bene, anche se a tratti la vedi guardinga, quasi gelosa del proprio dolore. Ti ritrai, aspetti, è l'intimità dell'anima.
Il telefono. Ne intuisco immediatamente la preziosità: la signora si avvia verso un'altra stanza per riapondere e ..."risponderà" per oltre venti minuti.
Caro Sandro, così ho avuto la sorpresa della tua voce inaspettatamente argentina. Mi hai accennato alle tue esperienze di questi ultimi quattro anni, al volto che il tumore ti aveva deformato e che ora, dopo l'intervento al capo, si è un po' ricomposto. Tu sai tutto della tua malattia ma, a parte quella, mi dici che il tuo corpo è sano e non capisci perchè adesso le gambe non si muovono più. Poi il discorso scivola sulle colline piacentine, sugli allevamenti, sulla scelta del nucleare, la disoccupazione in Europa, i tuoi studi; tutti e due abbiamo bisogno di ascolarci. Una carrellata a briglie sciolte, con un papà che tentava di intervenire ma che avvertiva il piacere di vederti tanto infervorato nel discorso. La telefonata è finita. La mamma è contenta perchè ti vede quasi sorridere, mentre parlava sentiva il tono vivace della tua voce. Sono le 7 e dieci. Devo andare.
Cammino verso casa: lampeggia un semaforo, la gente, le vetrine come al solito. Tutto è faticoso e incerto: i suoi occhi, le sue chiusure improvvise, ciò che non dice mi resta dentro.
( Continua )
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