La spontaneità e l'umanità dell'incontro sono indispensabili a una relazione posta su livelli di normale reciprocità. Non si tratta perciò di stabilire la superiorità su alcuno, né tendere a un ipotetico perfezionismo, che rischierebbe oltre tutto di snaturare e impoverire il rapporto: il malato non avrebbe mai la possibilità di aiutarmi e di correggermi, né io la possibilità di ringraziare o di farmi perdonare.
Come mai allora, dopo questo tentato elogio della spontaneità e dell'umanità del rapporto, la necessità di un esame preliminare ad ogni incontro, di un metodo di preparazione alla visita che mi diventi abituale? Sono semplicemente competenze che interessano ambiti distinti e diversi nella loro natura: altro è la conoscenza dei dati, dei necessari requisiti "professionali" (uso impropriamente il termine), altro è l'animo con cui si esercita la "professione". Una maggior preparazione può soltanto favorire l'esito positivo della prestazione. Mi hanno convinto l'esperienza e...qualche insuccesso.
Mentre mi avvio verso l'abitazione del malato, ho bisogno di fare il punto della situazione, è necessario qualche minuto di silenzio e di concentrazione. Come in un film rivedo alcune sequenze.
La situazione:
ricostruisco il quadro generale entro il quale si colloca il malato:
ambiente logistico - livello economico e sociale - limiti relativi - composizione familiare - tipo di relazione umana interna - ruoli dei singoli.
Il malato:
livello di consapevolezza
professione svolta - cultura - interessi - orientamento della personalità.
Stato della malattia e rapporti col personale medico / paramedico - difficoltà emerse durante l'ultima visita - valutazione critica sullo svolgimento dell'ultimo incontro.
Eventuali progetti di colloquio o di comportamento in relazione a quanto già emerso, o al verificarsi di situazioni prevedibili.
L'attenzione è volta alla mia persona:
Ceck-up a 360 gradi. Si tratta di verificare una posizione che pur non soffocando la spontaneità, predispone e controlla l'incontro. Mi chiedo se mi sento pronto a visitare il malato: stanchezza, preoccupazioni personali o al contrario particolare euforia, esuberanza, potrebbero alterare la mia disponibilità di associarmi agli stati d'animo che incontro. La stanchezza potrebbe escludermi dalla partecipazione al sollievo che un fatto pur minimo e marginale ha suscitato. La mia serenità e la stessa gioia (che pure non è allegria), devo viverle ed esprimerle al malato con cautela: potrebbero stridere con un dolore o un problema nuovi che ieri non conoscevo ed erano imprevedibili. L'esito sarebbe una stonatura nella relazione col malato e con la famiglia: un errore possibile, fonte di estraneità, inaffidabilità affettiva, allontanamento.
Mi predispongo innanzi tutto all'ascolto, privilegiando la disponibilità e l'attenzione alla situazione nell'immediato concreto.
Scelgo il saluto che offrirò al malato e ai familiari: le parole che danno inizio all'accompagnamento del giorno sono valutate e scelte in relazione all'evoluzione delle visite precedenti. Non sempre le parole più spontanee sono le più felici quando si sa che riceveranno solo risposte di segno negativo! Possono invitare il malato a ripercorrere inutilmente situazioni di dolore ormai superate, ma soprattutto imprimono al colloquio un inizio in tono minore. Naturalmente non si può escludere il caso in cui si riterrà opportuno offrire subito l'occasione di uno sfogo liberante, per attendere poi di indirizzare la conversazione su argomenti di svago o comunque più sereni.
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