Approccio informativo sulle U.C.P.D. - Spunti di conversazione con gli studenti universitari Facoltà di Medicina.
Perché questa scelta ?
E' la domanda che ogni volontario pone a sé stesso particolarmente all'inizio dell'attività, e sulla quale insistono le psicologhe nei colloqui di idoneità e di ammissione al gruppo operativo. Può suscitare imbarazzo per la propensione a schermirsi dal mettere a nudo convinzioni profonde e perché esige un certo lavoro di introspezione. La risposta che ne segue tratteggia, pur sommariamente, un atteggiamento e una concezione di vita che interessano non soltanto il volontario, ma anche le persone con le quali egli viene in rapporto: il malato in primo luogo, che non tarderà a porre questa domanda, i colleghi poi in un confronto di mentalità, i medici, gli infermieri.
Educazione familiare, esperienze personali, bisogno di esprimere solidarietà, fede religiosa, disponibilità di tempo, risultano spesso i luoghi cui attingere le motivazioni, che tuttavia appaiono a volte troppo generiche.
Col tempo ci si accorge che la domanda è complessa e non si esaurisce con una risposta; anzi non è mai compiuta, si ripresenta ogni volta che conosciamo un nuovo malato e ogni volta che il malato ci lascia, con il senso della vita e l'interpretazione della morte che il malato ci svela, con le parole delle persone che gli sono vicine.
Ne prendiamo coscienza nell'ascolto. Ascoltare, una parola come le altre, ma che in questo volontariato presiede ogni attività: l'ascolto delle parole, dei bisogni, degli sguardi, del silenzio, delle situazioni...è difficile spiegarlo a chi non può immaginare la lotta che il malato terminale sostiene in sé stesso, la paura di sentirsi solo nella malattia, l'urgenza di parlare del suo passato, di quello che gli sta succedendo, i suoi stati d'animo di fronte a ciò che sente incombere e non conosce. E' un ascolto che lo consola e lo aiuta. L'importanza della conversazione può indurre il volontario a "fingere" di non aver compreso bene la domanda, a chiedere puntualizzazioni superflue. Rimandare la risposta per dare tempo al malato di riproporre con altre parole e altri particolari ciò che gli sta a cuore, significa aiutarlo ad essere più consapevole del pensiero e delle convinzioni che va maturando.
Sorprende come la sofferenza, che al suo apparire può stravolgere le prospettive di vita di un intero nucelo familiare, a volte possa mettere in luce nelle persone doti, capacità, aspetti positivi mai immaginati: si sperimenta lo stupore, la sorpresa opposta alla esperienza della delusione. Anche questo scenario colpisce l'animo dei volontari sino ad avvertire riconoscenza verso chi soffre ed essere più umili.
( continua)
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