Tutti abbiamo sperimentato il tempo dell'attesa, aspettando qualcuno o qualcosa, o che accadesse un evento (forse la vita stessa è attesa), ma nella quotidianità abbiamo anche sperimentato che soltanto nel tempo presente vi è la possibilità di affermarci, di crescere, di ritrovare noi stessi, di realizzare e imprimere un senso nel concreto della nostra vita.
Il malato terminale provato dalla situazione in cui giace, spesso disperde il presente per viverlo come tempo di attesa: aspetta l'esito degli esami, la visita dell'infermiere, attende la luce del giorno perché la casa si faccia più viva, forse un amico, attende che la sua ansia si plachi.
E' importante restituire al malato "il tempo presente", aiutarlo a recuperare il concreto quotidiano vivendo insieme a lui le cose di sempre: la sua casa, le persone, tutto ciò che di positivo lo circonda, per nella sofferenza; accanto in una presenza lieta e sobria, predente e vigile nei momenti del dolore.
La "sosta" nel tempo presente concede la possibilità di riconsiderare tutto ciò che accade in una comprensione più ampia della vita (passata e attuale), di scoprire forse nuovi significati, prospettive inattese e forse una speranza oltre la morte. Il presente è l'unico tempo di cui disponiamo.
Soltanto nel fluire del presente posso ascoltare il Signore, tenere fisso in Lui lo sguardo: se mi è concesso, vivere alla presenza di Dio.
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