Mentre riflettevo sul senso del mio essere volontario, m'è capitato di ascoltare la voce sommessa del malato "Perché mi succede tutto questo, perché proprio ora?". E' la fisicità della sofferenza, del bisogno di amore, della vita prossima all'abbandono. Le parole del malato, il mio esserci vicino a lui, il silenzio condiviso in quella stanza, forse sono la risposta che non sapevo dare al "Perché di questa scelta?".
Risposta impegnativa per il volontario; permette di intuire che ogni accompagnamento riserva un cammino di maturazione e la visione concreta della finitezza dell'uomo. L'incontro con queste realtà chiede da un lato di approfondire le ragioni sul senso ultimo della vita, dall'altro sollecita a prendere coscienza del tempo presente e ad accoglierlo nel momento in cui lo viviamo, anche quando sembra scorrere invisibile nella quotidianità.
Ogni accompagnamento ha come schema comune di fondo il susseguirsi delle fasi della malattia, con un proprio ritmo di aggravamento sino al compiersi della vita. In questo spazio di tempo si disegna la storia personale del malato, quella della sua malattia, e si inserisce la figura del volontario che, svincolato da interessi professionali o scientifici, è in grado di riservare tutta la propria attenzione alla persona sofferente nella sua complessità.
In un clima di accoglienza e di rispetto, l'accompagnamento si rivela punto di osservazione critica del vissuto del malato, dei suoi familiari e delle reazioni del mondo esterno di fronte alla malattia, nei vari aspetti e gradi di coinvolgimento.
Mi soffermerò ora su due argomenti che ritengo di frequente impatto per i volontari.
( continua )
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