Durante la frequentazione del malato terminale affiora il senso del tempo che scade, nel suo lento maturare o nell'irrompere improvviso. I fatti celati nel lungo periodo, in quel determinato momento si manifestano come definitivi, oppure accadono del tutto inattesi nell'immediatezza, e scade un tempo che segna la vita che rimane; c'è stupore, o sgomento, ma tutto rientra inesorabilmente nel concreto della corporeità e del tempo.
La persona, quando ancora non sa di essere malata, ascolta la diagnosi e in quell'istante si sente altro: si scopre assegnata all'umanità malata di cancro.
L'ultima volta che ha guidato, camminato senza supporti, che ha portato il cucchiaio alla bocca, o appena prima o dopo l'intervento che deturpa, l'amputazione.. Istanti come cesoie che scendono a interrompere i tempi, a modificare funzionalità fisiche o intellettuali, abitudini di vita e relazioni; soglie che in successione vengono varcate in un solo senso e sommessamente preparano a ciò che avverrà. Tutto ciò appare al volontario come qualcosa di assoluto, di non negoziabile, oltre le frontiere della medicina, qualcosa di crudele ma che appartiene al ciclo della natura, alla vita.
Non sempre il malato percepisce che proprio in quel momento si è voltata una pagina della sua storia: il corpo soggiace a una natura che impone, e il recente diventa ricordo. Del resto "l'accompagnamento" indica un cammino, parla perciò anche dell'abbandono di un luogo, abbandonare per andare avanti: contesti obbligati, inseparabili. Insieme, fin dove è concesso: poi la persona malata si inoltra da sola.
( continua )
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