mercoledì 11 novembre 2009

Accogliere l'umanità del malato terminale (7° di Quaderno di Lavoro)

Qualcuno mi ha rivolto una domanda pertinente: che cosa intendo per umanità del malato. Il termine infatti rimanda a più significati, il genere umano, i tratti somatici, gli aspetti spirituali o culturali caratteristici, ecc. ma l'interesse ora non è teso alla ricerca di definizioni.
Mi pongo di fronte al malato terminale: l'umanità che intendo considerare risiede tutta nella sua individualità, una realtà che non mi riesce di comprendere e descrivere compiutamente e che tuttavia cerco di accogliere nella sua complessità; ascolto ciò che ora lui è, sente, dice e fa, e in lui il suo passato, ascolto le persone con cui vive.
Questa accoglienza non implica consenso incondizionato. Ricordo ad esempio, un malato che manteneva un comportamento irrispettoso verso la moglie. Ad ogni episodio increscioso seguiva l'onda di riflusso della frustrazione e dell'angoscia. Impossibile approvare il suo comportamento, ma accettarlo mi ha permesso di stargli vicino nei momenti dell'umiliazione. Un'esperienza condivisa, non strettamente vincolata alla malattia, vissuta in un rapporto da uomo ad uomo più che da malato a volontario.
Incontro persone di estrazione culturale, ideologica e religiosa diversa: accoglierle nella loro umanità, apre ad una comprensione e ad una solidarietà profonde, all'amicizia e all'amore come bene primario che accomuna.
Ho di fronte il declino finale dell'uomo:abbiamo in comune la vulnerabilità, la povertà davanti alla morte, all'oltre che sovrasta la condizione umana anche se vissuta in momenti e contesti esistenziali differenti. Parole di Enzo Bianchi, Priore di Bose: "Solo quando la relazione tra visitatore e malato si configura come un incontro di poveri, il rapporto con il malato può divenire luogo di comunione, di amore e di responsabilità" ( "Accanto al malato").
Per lo più la gente riserva compassione, commiserazione, ma scarso interessamento al cammino spirituale che il malato sta ancora compiendo, e che arricchisce chi gli è accanto; la stima, gli elogi sono appannaggio del volontario. Il malato, prima ancora che per le sue necessità, ha diritto all'assistenza e all'amore semplicemente perché è un uomo, e a fronte di questo diritto sta l'impegno morale che provoca a riflettere sul significato del proprio volontariato.
Il cristiano ricorda che la parabola del Buon Samaritano non conclude con un invito all'opzione, ma con una indicazione perentoria: "Va e fa altrettanto".