sabato 23 ottobre 2010

L'assenza dovuta ( 22° di Q. di L. )

Noi tutti nella consuetudine della vita, appaghiamo il bisogno di stare con gli altri, anche con le persone che non sono di casa. Per il malato terminale non è così: costretto a rimanere nel suo appartamento o nel suo letto, non può disporre liberamente di incontri e di colloqui privati. Questa realtà sembra spesso incompresa, può sfuggire l'importanza di serbare al malato uno spazio di tempo (e un luogo) da gestire autonomamente in piena libertà e riservatezza. La malattia non annulla in lui il piacere dei rapporti sociali, né il bisogno di sentire che qualcuno gli rivolga la parola, lo ascolti, chieda un suo parere; non cancella il diritto di tenere per sé un segreto o di confidarlo soltanto a chi vuole; il tempo della segregazione cui la malattia lo obbliga acuisce l'urgenza di un rapporto di amicizia che resti riservato. Ci si avvede con chiarezza di ciò quando il malato si intrattiene da solo con una persona estranea alla sfera familiare, o con chi mantiene un rapporto costante vincolato alla sua situazione, medici, infermieri, volontari.

Quasi sempre il malato ha difficoltà ad esprimere questa esigenza ai parenti, teme che la domanda di riservatezza li offenda, venga recepita come un affronto, un'esclusione ingiusta: dubbio non del tutto infondato.

"Essere sempre presenti", "fare compagnia", nell'amore dei parenti può venire avvertito come dovere inderogabile o un diritto assoluto, tuttavia questa dedizione affettuosa se non concede al malato possibili intervalli di convivenza scelta liberamente, rischia di mutarsi in un controllo costante, di accrescere in lui l'ansia che ha già dentro anziché quietarla.

"Vorrei parlarti di quello che mi succede, perché lei è buona, ma su alcune cose la pensiamo in modo diverso..". E' entrata. Si siede vicino, premurosissima; è efficiente, disponibile alla conversazione col volontario, onnipresente.

Il malato vorrebbe che anche la persona più intima intuisse questa sua necessità, ne comprendesse l'importanza riservandogli momenti di "assenza dovuta". Nessuno è in grado di dare tutto al malato, anche la dedizione più affettuosa, anche il dolore possono soffocare la libertà di chi si ama.

Queste riflessioni riguardano ovviamente anche il volontario attento a condurre "l'accompagnamento" con presenza sollecita, ma pronto a farsi in disparte nel momento opportuno.

E' un aspetto che affiora frequentando il malato, ma che per i familiari rimane spesso un messaggio difficile da recepire.

domenica 17 ottobre 2010

Il segreto (21° di Q. di L.)

Lungo i giorni dell'accompagnamento il malato può sentire il bisogno di confidarsi: non vuole rivivere nella solitudine la fatica della sua storia, è un moto spontaneo che gli procura grande sollievo, una liberazione, soprattutto quando, nonostante le persone vicine, è solo a conoscere nel riserbo il suo passato.

Confida le parole intime della sua vita, procede con cautela, a intervalli. Una parola e un attimo lungo di sosta muta, di ascolto del tuo silenzio e del tuo volto, gli interessa sapere chi sei, se lo capisci, perché stai a sentirlo, se lo giudichi o se gli vuoi bene; sapere se stai facendo con lui la sua strada...se è sicuro con te. Allora l'animo si libera, a volte fino a commuoversi e fino alla quiete.

E' la gioia reciproca di una nuova amicizia, la sensazione di essere più liberi, e il malato può dirti "E' come se ci fossimo conosciuti da sempre". Un uomo ti ha aperto la sua storia, conosci una sofferenza nascosta, un dolore incompreso, la sua speranza. Non tradire la riservatezza che si attendeva da te.

venerdì 15 ottobre 2010

Domanda inattesa

E mi chiedi come mai, dopo anni di attività, mi occupo ancora dei malati terminali? Precisiamo innanzi tutto che il mio impegno si è molto ridimensionato in ragione dell'autonomia che l'età mi concede.

La domanda è antica, ho azzardato risposte in successione di tempo e di esperienza, spesso con nuovi spunti, eppure tutte sono rimaste incompiute. In ognuna un po' di verità, ma rimaneva spazio da colmare.

Sorge spontaneo l'interesse a comprendere il "perché" di certe decisioni prima che ti accinga ad attuarle, tuttavia vi sono circostanze e avvenimenti che ne consentono l'incontro profondo soltanto a patto di viverli, di averli vissuti e custoditi nell'intimo dell'ascolto segreto. Comprensione sempre limitata si intende, perché gioia e dolore, vita e morte rimangono il mistero che sono.

La tua domanda mi accompagna dall'inizio del mio volontariato come indicazione di un sentiero, alla ricerca di ciò che già desideravo senza conoscerlo; poi, durante il cammino è avvenuto tra il sentiero e me una specie di identificazione, io che passo dopo passo incontro le novità del tragitto, e il sentiero che ha senso soltanto se qualcuno lo percorre, se io lo frequento, se cammino e mi soffermo stupito.

Oggi mi sembra più semplice di allora risponderti: "perché amo la vita", parole sciupate in mille rivoli dirai, divenute banali, ma non nel loro contenuto, esse esigono una verifica di significato. E' incantevole pensare che la vita è meravigliosa (e spesso lo è), ma non posso ignorare la sofferenza, la malattia, il tempo che chiude.

- "perché amo la vita", in queste parole può trovare soddisfazione la domanda che mi hai posto all'inizio, però rispondi prima a quest'altra:

"Come pensi, come ti coinvolgono l'amore e la vita, ogni forma,ogni tempo della vita.?"

giovedì 7 ottobre 2010

Disunione in famiglia (20° di Q. di L.)

E' esperienza consueta conoscere famiglie aperte alla collaborazione tra le persone che le compongono, tutte singolarmente dedite alla cura del malato, pur nella disponibilità concessa dai necessari impegni personali.

Talvolta accade invece di trovarsi in contesti di segno opposto, ed assistere a comportamenti che aggravano la sofferenza del malato: convivenze difficili, voci alterate, parole dure, incomprensioni che neppure la malattia sopisce. Nessun ascolto della sofferenza, persone lontane tra loro e dal malato.

Pur non interferendo nelle conversazioni che si ascoltano, si tenta di alleggerire la tensione distraendo il malato, facendo spazio a un velo di ironia, a una parola di quiete, a un sorriso. In circostanze simili tuttavia, mi pare che la presenza silenziosa del volontario assuma importanza fondamentale. Un silenzio disponibile e forte, che non accetta di essere contaminato dalle liti. Una presenza silenziosa ostinata che vuole porsi ad argine del malato,di fronte a un male che aggrava talvolta drammaticamente il dolore di queste vite.

Impotente silenzio di dissenso, che potrà essere testimonianza di comprensione e di amore nella memoria di chi resta.