lunedì 20 giugno 2011

Volontario compagno del malato (43° di Q. di L.)

(Articolo per la parrocchia)


Molti pazienti oncologici raggiungono oggi la guarigione o una terapia di controllo compatibile con la normalità della vita. Altri, nella propria abitazione , sono affidati alle "Unità di Cure Palliative Domiciliari" e il volontario può essere invitato dal personale sanitario, nella distinzione dei ruoli, ad offrire il suo contributo di assistenza. E' subito chiaro che l'aspetto medico, pur importantissimo, non è l'unico motivo di inquietudine.

Col passare dei giorni il malato si accorge di non appartenere più al mondo esterno, che pure era il suo: il lavoro, gli impegni, gli svaghi, le amicizie si rarefanno e presto diventano realtà lontane. I limiti che la malattia impone diventano barriere che isolano. L'affiorare di queste difficoltà, i ricordi rappresentano ogni volta un confronto e un distacco premonitore di "qualcosa" che accadrà, e col pensiero il paziente ripercorre la storia della sua vita, della sua malattia, della sua famiglia; il suo modo di valutare l'esistenza.

Il volontario domiciliare offre la sua disponibilità a rimanere vicino al malato; in modo figurativo si parla di "accompagnamento", cioè di andare insieme, in un contesto semplicemente "umano" non professionale, con il bagaglio spirituale, culturale e psicologico che ognuno porta con , senza imporlo e senza rinunciarvi. Nessuna finzione dunque, nessun secondo fine. "Accompagno", non conduco: è il malato nella sua strada obbligata a decidere la cadenza del passo, l'arrancare o la sosta; a volte si affretta, non sempre è facile tenerne il ritmo. Il volontario non lo abbandona, ha attenzione e affetto anche per la sua famiglia, per le persone che a qualunque titolo gli sono vicine e soffrono solidalmente con lui, o ne sopportano la presenza.

( segue)

sabato 11 giugno 2011

Figura di donna

Figura di donna giovane seduta, ritratta di lato. Piedi appoggiati a uno sgabello un po' in là dalla seggiola. In luce viva il collo, i capelli ondulati raccolti alla nuca, e parte delle mani giunte. Viso appena reclinato in avanti a custodire le mani giunte del bambino che tiene sulle ginocchia.

E' mia madre, lui mio fratello Francesco, due anni circa. La foto in bianco e nero lo ritrae frontalmente. Piedi e gambe si agganciano, capelli chiari, braccia ben tornite, in camicia da notte bianca senza maniche; tutto in luce viva, accesa nel vestito scuro della mamma. E' impegnato nella operazione delle sue manine, paffuto e serio di quella serietà innocente che fa sorridere i grandi e li fa pensare. Dietro, un lettino con la rete di corda ai lati, intravedo la tappezzeria del muro, l'anta di un armadio ma tutto è sfumato. Scene nel quotidiano della mia famiglia, anche per me che sono l'ultimo è stato così.

Non è poco, la mamma accanto al letto col suo bambino, il respiro unico della preghiera. E' tempo dedicato. Non ho scritto parole da Libro Cuore, è ricordo di dolcezza e di sobrietà, immagine sì d'altri tempi ma la terra buona è scelta di ieri come di oggi.

Da lì, dalle mani giunte della mamma e del bambino inizia la "storia della mia preghiera", sempre più personale, e mi accorgo che più che storia "mia" in sostanza è la storia di Gesù in me. Ricostruirla a tu per tu con Lui (e con Maria), non scriverla, tentare di comprenderne i significati e viverli; la meraviglia per l'impensabile e il "definitivo" accaduti, sorprese ritrovate o riconosciute soltanto ora. Il Signore che non ti abbandona e si fa sempre più vicino, più intimo.

Anche questo è tempo dedicato.

Da lì, dalle mani giunte della mamma e del bambino inizia "la storia della mia preghiera"...eppure ho care le parole di S. Agostino:

" Tardi ti ho amato,.."

venerdì 3 giugno 2011

Dedicato a chi è giovane

La voce stessa dice da subito il mio nome e chi mi chiama, la sorpresa, poi sorrisi aperti. Lo trovo in gamba il mio amico Luca, veleggia verso i novanta, sempre sottile, non solo il pensiero, e con la sua bella ironia.

- Luca! Che bello, come stai..
- Luigi, e tu?
- Bene, gli dico e tra il serio e il faceto,.. ho 78 anni, sono vecchio..
- Lui, breve stacco riflessivo,.."aspirante vecchio".

Quattro passi insieme, in centro dalle parti di Via Santa Marta, parliamo del più e del meno,..
il piacere dell'incontro, godiamo insieme la sincerità dell'amicizia che non è passata.

giovedì 2 giugno 2011

Voglia di ricominciare (42° di Q. di L.)

Settembre.

Dopo le ferie la voglia di ricominciare. Prima però una pausa di riflessione, un momento di ascolto del Gruppo, per rinsaldare la coesione tra noi, l amicizia.

Tutti siamo volontari da anni e forse ci sfiora il rischio di riprendere automaticamente l'attività, di mettere in secondo piano i contenuti forti che ci hanno motivato. Sicurezza comprensibile, ma che può affievolire l'apertura a indagare vie nuove nell'ascolto attivo dell'accompagnamento. A fasi ricorrenti può ripresentarsi il rischio di professionalizzare il volontariato, di defilarci dal coinvolgimento e dalle relative domande di base. Ne propongo alcune tra le quali scegliere, se si vuole, la pista di riflessione più grdita.

Riconosco nell'accompagnamento l'umanità del malato e mi sintonizzo con lui in questa dimensione, oppure mi preoccupo per prima cosa del terreno sul quale confrontarmi ( appartenenza a ideologie o fedi, livello culturale, sociale..) Quali le conseguenze di tale scelta?

Il rispetto dell'umanità del malato esclude qualsiasi strumentalizzazione (proselitismo politico-religioso, problemi familiari..) ?

La frequentazione della sofferenza e della morte influisce sul mio modo di concepire la vita? Sono i miei convincimenti e le mie scelte personali a suggerirmene l'interpretazione?

Nella storia di un accompagnamento sono presenti scenari negativi. E' importante scoprire aspetti positivi nel malato e nei familiari? Si tratta di una ricerca doverosa o soltanto inerente allo stile personale del volontario?

L'immagine corrente del volontario è adeguata, sottovalutata, mitizzata?