giovedì 14 gennaio 2010

Che cosa non voglio fare mai (10° di Quaderno di Lavoro)

- Non voglio negare e non stravolgo la verità che il malato conosce ed esprime.
- Non voglio soffocare la speranza o l'illusione in cui il malato vuole trovare rifugio.
- Non voglio favorire illazioni e previsioni che nascano solo dallo sconforto e dalla paura.
- Non voglio creare speranze illusorie o false consolazioni.
- Non voglio "consolare" il malato parlandogli di chi soffre più di lui.
- Non voglio azzardare interpretazioni cliniche o previsioni sul decorso della malattia.
- Non voglio forzare la relazione col malato per ottenere la sua confidenza.
- Non voglio assumere atteggiamenti di evidente efficientismo.
- Non voglio tentare di condizionare il malato ed i familiari nella libertà, e nei valori in cui credono.
Accanto a un uomo che vede la propria vita dissolversi, non conosco argomenti consolatori; solo l'amore ci può accompagnare e guidare.
Questo.."Non voler fare mai", non è negazione immotivata: è finalizzata a favorire il cammino più importante che il malato può ancora compiere. Nella esperienza vissuta della realtà a volte accettata e del "dolore totale", può nascondersi qualcosa di positivo: la speranza di dare un senso alla malattia e alla morte. Anzi proprio i giorni della sofferenza sono i giorni della speranza, il tempo in cui può svelarsi il lato nascosto di una vita: è questa la luce che il volontario vuole accendere, il conforto che può offrire al malato e ai suoi cari.

domenica 10 gennaio 2010

Il giorno dopo l'Epifania

Giovedì 7 gennaio. Pomeriggio tardi, fuori è già buio. Nel supermercato è contrasto di luce, estranea anche alla quiete delle strade, umide e silenziose, poca gente, qualche brandello di carta-regali ancora sul marciapiede.

Attendo in fila alla cassa con il mio litro di latte. Un suono aggressivo e breve sa di pernacchia, mi fa sobbalzare e sorridere. Vedo un bambino che soffia nella sua trombetta mentre la mamma compiaciuta lo incoraggia a soffiare di nuovo. La trombetta è quella solita del Carnevale, con le strisce di stelle filanti al termine, vedo anche un altro bambino, troppo piccolo per "prodursi" in un assolo di tromba, brandisce senza interesse un bastoncino magico luminescente, a tre colori.


Appena ieri l'Epifania; ai più piccoli gli ultimi regali. Non pensavo, presto verrà Carnevale,poi il 1° aprile, Pasqua...
Per caso sono diventato testimone di una contrapposizione insolita: una trombetta di carnevale e un bastoncino magico sfidano "L'Epifania tutte le feste le porta via", adagio bonario che finge di non avere pretese. Nella semplicità delle parole riecheggia "c'è un tempo per ogni cosa": il tempo di festa è scaduto ora è tempo di quotidianità, nessun dissenso tra i due. Sono momenti distinti ma in armonia tra loro e amici nostri; nel loro avvicendarsi, insieme ci aiutano a scorgere l'unica continua bellezza e il senso che diamo alla via.

sabato 2 gennaio 2010

Alta Val Viola

Alta Val Viola

settembre '91
Questa estate nell'Alta Val Viola camminavo solo sul sentiero, ormai in vista del rifugio. Le nubi soffocavano le vette e promettevano l'acqua che poi è caduta fitta.
Sul lato opposto della valle la montagna è scoscesa, rocce ostili, insidiose, canaloni che scaricano neve e sassi. A un tratto uno scroscio fragoroso, un turbinio bianco, un inferno di pietre a precipizio giù, in questo silenzio inquietante, in questa luminosità che parla di buio. Il fragore poi si fa quieto, ancora più quieto, come lontano, e poi un boato impressionante mi scuote, un colpo sordo fa sussultare il terreno, poi un altro colpo, un altro, un altro ancora. Silenzio.
Maestosa e lenta la corsa, il roteare del masso in lunghissimi attimi, tra un colpo e l'altro enormi gli spazi. Era là da millenni e inaspettatamente il furore, la forza della vita. Non gli è stato concesso di più. Altre slavine, altre pietre lo copriranno. Sopra, un giorno, l'erba, una stella alpina. Le realtà imponenti ti danno un brivido, non tanto per ciò che succede, ma per ciò che non è mai successo prima né succederà "mai" dopo, perché non hai ascoltato o non hai compreso prima quel vuoto, quel silenzio così pregno di una presenza, di una voce.
E' bello vivere questo ascolto mai esaustivo della natura, ma anche delle cose semplici, le più familiari...la scrivania, gli occhiali appoggiati, l'orologio...un amore riconoscente, una cura, un rispetto come a cosa che non ti appartiene e devi restituire, che ti accompagna per l'attimo della vita. Il silenzio, l'ascolto un modo più ampio di rapportarsi con le cose e con gli uomini, non è un ritirarsi, anzi un andare incontro; richiede lo sforzo e l'abitudine del raccoglimento: ti offre in cambio il dono della pace e della parola. Del resto ogni nostra azione, ogni attività, pur nel clamore e nell'ansia della vita, deve avvolgersi totalmente nel silenzio del nostro cuore per compiersi alla presenza di Dio. Pena la sterilità, il non senso del nostro operare.
Ogni nostra azione è come tutta la nostra vita: nasce dal silenzio ed è ancora il silenzio a custodirla per sempre. Ho bisogno del silenzio perché Dio mi possa parlare, per poterlo ascoltare e finalmente potergli rivolgere una parola nata dalle sue.