lunedì 29 giugno 2009

Incontro un nuovo malato (continua 2° di Quaderno di Lavoro)

Maggio.

Sandro si è aggravato. Anche le braccia e le mani si fermano. Gli porgo alla bocca una caramella, gli alzo il peso morto del braccio per cambiargli posizione. Hanno comprato due letti da ospedale, la stanza è riordinata e ci sono dei fiori al davanzale. Quando esco la signora mi saluta alla porta, poi subito viene al balcone del cortile al piano rialzato, e dalla parete di edera che lo ricopre vedo un gesto lieve della mano, tra le foglie un sorriso dolce, velato. Non mi so abituare, ogni volta mi scuote, mi fa soffrire di più. Lunedì mattina dovrò essere là presto perché il marito sarà assente: la visita mensile di controllo del suo melanoma. Anche a lui oggi, parlando di Sandro nella saletta, si sono fatti gli occhi lucidi.
Cerco di darmi a loro come più sono capace, ma sento anche il bisogno di ritirarmi in me stesso, di capire di più quello che vedo in tutto questo soffrire. Vi sono momenti nella vita in cui restiamo assolutamente indifferenti al mondo esterno, alla cultura, all'economia, al potere, ad ogni impulso di competizione con gli altri, ed emerge l'uomo nella sua dimensione essenziale alle soglie delle realtà e dei valori definitivi. Se vi è assenza di dolore fisico e nella lucidità di una mente consapevole,questi, nel malato, sembrano momenti alti di libertà, non lontani per me da un certo sgomento. E' una angolazione insolita per una persona sana e attiva; ora il malato è in cattedra e ti parla: supino, nel silenzio ti dice tutta la sua e la tua realtà attuale, nuda, concreta, alla luce delle cose ultime.
"Il malato terminale è persona capace non solo di ricevere dagli altri, ma anche di dare..", è vero, nel suo stesso ricevere ti dona qualcosa. Guardo Sandro, raramente qualche momento di rabbia, poi la rassegnazione paziente, la semplicità nell'abbandonarsi all'amore di chi lo circonda, il coraggio di lasciarsi amare: ma non è qualcosa di definitivo, ogni giorno la lotta.
Si vive insieme al malato, in te c'è controllo non separazione, e insieme si affronta l'esperienza nuova, o sempre uguale. Esperienza crudele per Sandro, giorno per giorno la sua vita che si ritira, irrevocabile, senza fretta. Questo dolore aggredisce anche te, devi misurare con intelligenza le tue forze, perché qui il tempo è lungo; però non abituarti al malato, sarebbe come abituarsi a vivere.
In mezzo a questo mare di sofferenze, di sfacelo, sento una presenza che non ha confini, che non comprendo a fondo, più grande del dolore e del pianto. Mio Dio non mi è possibile capire, ma ti credo, con fiducia ti aspetto: anche per Sandro dopo questo buio la grande luce.
(continua)

mercoledì 17 giugno 2009

Guardare il mondo

Si susseguono notizie allarmanti di conflitti, di corruzione, di ingiustizie rivestite di legalità ( però non tutto ciò che è legale è anche lecito ), si innalza la soglia della paura, della povertà a livello globale o in chi ti è accanto. Ci si può persino assuefare a vedere ed ascoltare il peggio.
Eppure sento il bisogno di guardare il mondo con bontà.
La bontà appartiene a Dio soltanto, ma si fa conoscere al mondo dalle scelte che l'uomo opera nella realtà del quotidiano.
"Bontà" poi, è una famiglia di parole, di modi di essere e di sentire. E' simpatia anche senza riscontro, rispetto e comprensione, è partecipare al dolore e sperare e saper attendere, è gioire di ogni gioia buona, gioia che è gioia da sempre, è libertà, determinazione e fedeltà al bene, è misericordia, dolcezza e perdono, è infinito, diluvio e arcobaleno, è amore e morte e vita per sempre....
La bontà di ognuno di noi nel quotidiano, soltanto una piccola luce della bontà di Dio..è annuncio, forse preghiera.
Insieme ad altri, a molti....sento il bisogno di guardare il mondo con bontà.

domenica 7 giugno 2009

Incontro un nuovo malato (2° di Quaderno di Lavoro)

Marzo
Appuntamento alle quattro e mezza. L'infermiera è puntuale; un caffè insieme poi qualche parola ancora, per saperne di più. Entriamo.
E' gente affabile, semplice. La stanza risulta subito stretta, qualcuno deve rimanere in piedi. Letti, armadi, mobili, la tele, sul comò tante medicine. Lui steso di schiena, oppresso dalla sua mole, a stento muove testa e braccia, i lineamenti sottili del viso persi in un gonfiore che cancella la forma del collo. Mani e gambe esili. L'immobilità e la conformazione attuale del corpo rendono problematica la raccolta delle urine. Spesso è scoperto.
Ci sono altre stanze, ma in questa batte il cuore della famiglia: qui in tre passano il giorno e la notte.
Parla la madre, il padre, poi la madre, la madre, il padre: poi la madre, parlano di lui malato, della sua malattia, del "suo" ospedale, dei medici, sanno come lui si sente, come sta, cosa vuole. E' un muro che sale. Eppure troverò il modo per fare breccia. Ora si ascolta soltanto, al più si fa un cenno. Il figlio malato ha 32 anni, anche prima viveva in casa. Vorrei essere nei suoi pensieri, come me ascolta in silenzio, ma lui per la centesima volta.
Penso ai genitori così stanchi, alla loro necessità di parlare in continuazione, a questa affettuosa inconscia violenza. Giorno e notte, pesantissimo lo stress che sopportano, forse per questo non si rendono conto che si ha bisogno anche di stare zitti. Ma il silenzio ti è amico se sai da dove viene e dove riporlo in te; forse a loro porta ricordi ora insostenibili, forse racconta già un domani col quale non hanno ancora fatto pace. Sei davanti alla sofferenza, davanti a un mistero; vorresti essere capace di un' umiltà più profonda, sono io a dover etare zitto qui ad ascoltare soltanto. Questa gente ti affascina, in un lampo di tempo ti insegna la vita, le vuoi bene, anche se a tratti la vedi guardinga, quasi gelosa del proprio dolore. Ti ritrai, aspetti, è l'intimità dell'anima.
Il telefono. Ne intuisco immediatamente la preziosità: la signora si avvia verso un'altra stanza per riapondere e ..."risponderà" per oltre venti minuti.
Caro Sandro, così ho avuto la sorpresa della tua voce inaspettatamente argentina. Mi hai accennato alle tue esperienze di questi ultimi quattro anni, al volto che il tumore ti aveva deformato e che ora, dopo l'intervento al capo, si è un po' ricomposto. Tu sai tutto della tua malattia ma, a parte quella, mi dici che il tuo corpo è sano e non capisci perchè adesso le gambe non si muovono più. Poi il discorso scivola sulle colline piacentine, sugli allevamenti, sulla scelta del nucleare, la disoccupazione in Europa, i tuoi studi; tutti e due abbiamo bisogno di ascolarci. Una carrellata a briglie sciolte, con un papà che tentava di intervenire ma che avvertiva il piacere di vederti tanto infervorato nel discorso. La telefonata è finita. La mamma è contenta perchè ti vede quasi sorridere, mentre parlava sentiva il tono vivace della tua voce. Sono le 7 e dieci. Devo andare.
Cammino verso casa: lampeggia un semaforo, la gente, le vetrine come al solito. Tutto è faticoso e incerto: i suoi occhi, le sue chiusure improvvise, ciò che non dice mi resta dentro.
( Continua )

mercoledì 3 giugno 2009

Bus 90

Sono sulla 90, tutto tranquillo, corsia preferenziale, è l'ora del rientro a casa. Una voce in breve si distingue, prevale sulle altre, una si contrappone, diventa un alterco, i toni si fanno aspri, le parole volgari. Non si capisce cosa sia accaduto.
Un vecchio, seduto e giornale aperto davanti; è "bianco", vestito da "bianco", lo spazio di due sedili più in là un vecchio in piedi all'uscita del bus: è "nero", vestito come può.
Intorno bianchi e neri zitti, siamo allibiti, ferisce vedere due persone unite dalla vecchiaia e il loro reciproco infierire, quegli insulti così affilati appaiono contro natura, ognuno mentre li scaglia e li restituisce, fa a pezzi la propria dignità. Attimi di costernazione e di tensione: zitti a imparare dai vecchi come ci si può odiare. Anch' io sono vecchio. Sono bianco, vestito da bianco.
E' sceso, riemerge il solito brusio del parlare, il calore umano che riscalda.
Anche da bambini, ricordo, c'era violenza, perché è innata nell'uomo. Tutti avevamo la forza di "mollare un pugno in faccia all'altro", prima della forza però dovevi aver maturato nell'animo la decisione di fargli del male: maturare, sì come i frutti, che non maturano in un attimo. Già prima, nel tempo che hai alle spalle, giorno dopo giorno, se lo dai, è maturato quel pugno.
- "..custodisci sopra ogni cosa il tuo cuore, fluisce dal cuore la vita." (Prov.4, 18-23)