domenica 29 dicembre 2013

Verifica di un lungo periodo -"L'addio alle cose nella quotidianità" (Q di L (=°)





       Un motivo che rattrista il malato vicino a morire e lo induce a un senso di solitudine, è il pensiero che lascerà "le cose", non le proprietà o il conto in banca, ma gli oggetti concreti con i quali ha ora un rapporto immediato, diretto.
 
       Lo sguardo si posa sulle cose comuni che gli stanno attorno e gli sopravvivranno, l'armadio della stanza, la sedia, il muro della casa di fronte...ora presenti nell'attesa e già testimoni di un "dopo", quando lui, ora malato, non sarà più.

       Questo immaginario futuro, questo contemplare le cose che non hanno vita e perciò permangono (più a lungo di lui) lo priva concretamente del tempo attuale che invece gli appartiene e gli è prezioso.

       Una breve divagazione mi pare attinente. Magris nel suo libro " Il Danubio " riporta una poesia composta da una ragazzina austriaca (13 - 14 anni) malata di cancro. Ne trascrivo approssimativamente il testo, naturalmente non in rime.


Una rosa. Bella. Bellissima.
Andava d'accordo con tutti i fiori.


Un giorno vede una rosa di carta.
Le dice - "Come sei bella !"


E questa - "Ma non vedi che sono di carta ?"
La rosa la guarda. Lungamente.
" Io sto per morire".


( Continua )

domenica 8 dicembre 2013

Verifica di un lungo periodo - L'imprevedibilità dell'ultimo tratto Q. di L. 79°

    


     L'ultimo tratto di vita può sorprendere per la lentezza in cui si consuma.
      L'assistenza medica, nella propria casa o in Hospice, è efficiente ma il tempo a volte si dilata oltre ogni previsione. Il carico di una sofferenza nuova rende più intensa quella presente in chi già è provato dal dolore e dalla stanchezza. Ognuno reagisce a modo proprio, conteso tra l'urgenza di vedere il proprio caro liberato dalle sofferenze e la trepidazione di affrontare il momento lacerante dell'addio. Non tutti sopportano in silenzio.

     Terminalità: ma quanto, giorni, settimane...? La routine di oggi si presenterà domani, quanto più grave?

     Quando il tempo sembra non scorrere, la dipendenza (la povertà) del malato si fa più cocente, in lui se consapevole, e in chi gli è vicino sembra salire il livello di insopportabilità, forse di paura. Si teme il futuro e si ha fretta che accada.

     Allora il tempo che resta può apparire come "scandalo della vita".  Qualcuno scuote il capo in silenzio, sul volto un moto di diniego, parole sommesse..."..La dignità della vita", .."Il diritto a morire".

     Evito le dispute teologiche e scientifiche...A volte la sola presenza offre un sostegno valido di condivisione e consola, in altri casi ritengo conveniente appartarmi. Situazioni sempre differenti, ascolto le ragioni di ognuno sensibile alla comprensione e al rispetto, se richiesto non nascondo le mie scelte personali né la mia fede.

domenica 10 novembre 2013

Rose

  




       158, la somma dei nostri anni.
       Non metà ciascuno, più giovane Elena è favorita.
       Nessuna ricorrenza oggi, giornata come altre.
       Elena è bella.  E' Elena.
       La contentezza di regalarti un fiore.

venerdì 8 novembre 2013

Verifica di un lungo periodo - LA POVERTA' (Q.di L. 77°)

( segue da 76°)


       Ho avuto modo di conoscere il malato nella sua casa e accompagnarlo lungo i mesi di vita che gli restavano. Un rapporto unico e personale tra malato-volontario-familiari.
      
       Differente l'esperienza maturata all'Hospice del Trivulzio: presenti contestualmente 12 - 13 ospiti, ognuno in stanza singola (quasi "comunità inconsapevole" di malati terminali). Il rapporto è condiviso con colleghe/i nell'alternarsi dei turni di servizio dei volontari. L'aspetto che primo mi colpisce quando mi accosto a un malato terminale è il senso di povertà.

       Vedo svanire progressivamente l'autonomia della persona e insinuarsi una rassegnazione sofferta alla dipendenza, nel malato si affievolisce il confronto alla pari con gli altri. E' umiliante chiedere aiuto e affidarsi agli altri anche per le cose e i servizi essenziali, ci si può sentire feriti nel proprio senso del pudore. Si tratta di accettare di essere "mendicanti e grati" senza possibilità di scelta, a chiunque ad ogni livello ti soccorra.

      Il malato chiede di parlare a qualcuno nel tepore dell'ascolto e nella riservatezza del colloquio, chiede un amore che si esprima sollecito e concreto in ogni manifestazione, anche di servizio, di vicinanza materiale e spirituale.

       E' importante capire le parole della "povertà", perciò ripensarle e studiarle, ma io (volontario) ho bisogno di più, di comprendere "le parole del povero" lì, in quel momento, quelle che il mio malato pronuncia.  "Le parole del povero" sono l'incontro con lo sguardo, sono l'ascolto di una voce. Ho bisogno di ascoltare le "sue" parole come risuonano all'interno del suo mondo, dentro l'orizzonte che lo delimita per comprendere se ho risposte sincere, oppure per dirgli che neppure io, come lui,  ho risposta. Bisogno di ascoltare anche le parole non dette che il malato scambia con me nel silenzio della sua persona e nello sconforto, per sopportarle insieme, per poterlo amare di più.

( continua )

domenica 15 settembre 2013

Senza Titolo E (Quaderno di Lavoro 75°)




( continua da /74° )



       Cara Lucia,
                         ...sento il peso dei miei 76 anni, da tempo si è fatto più marcato, ..Devo riconsiderare l'opportunità di proseguire nel mio impegno al Trivulzio, decisione sofferta, considerata l'importanza che riveste per me,..   Si compie un periodo bello e intenso con la semplicità e la naturalezza della vita, bello e intenso come insieme l'abbiamo vissuto.

       Benedico il giorno in cui mi hai permesso di iniziare questa nuova condivisione, a me allora poco chiara eppure attesa da tempo.  Avrò nostalgia dei momenti più umani e più sacri vissuti a tu per tu coi malati sulla soglia del tempo, porgendo il sorso d'acqua o il cucchiaio del pasto, discorrendo oppure ascoltando soltanto la loro presenza.

       E tuttavia ciò che ora mi viene sottratto non sminuisce la gioia e la riconoscenza per quanto ho ricevuto e gratuitamente mi è stato concesso di offrire. Sento un vuoto ingombrante, le colleghe, i colleghi, tutti, ma oltre l'affetto che pure rimane e la commozione, sento il bene che mi avete lasciato dentro, di cui voi tutti avete stipato la mia vita, materiale e spirituale.

       Con te particolarmente vorrei soffermarmi, abbiamo alle spalle una storia lunga, però l'amicizia non resta alle spalle.

       Mi mancherà il tuo pungolo a sospingere il pensiero verso prospettive più ampie o nei recessi dell'animo, mio e dell'altro...e io troppo ostinato a rintuzzarti.

       Vedi, è una lettera un po' strana, scrivo a te e mi rendo conto che non riesco a non pensare e non parlare a tutti.

       Non voglio però che i ricordi appannino il presente, restiamo fiduciosi sempre e sempre insieme, perché insieme abbiamo camminato nel bene.

       Naturalmente ci ritroveremo alla riunione.

       Cara Lucia grazie, ti ricordo, ti voglio bene.         Luigi


giovedì 20 giugno 2013

Senza Titolo E (Q. di L. 74°)





      
     
E -    In apertura di queste pagine "Senza titolo"  l'età chiedeva la parola, ma in realtà non ha mai smesso di far sentire con autorevolezza la sua presenza.
   
         Si parla di stagioni della vita, ora è importante per me comprendere in quale stagione mi trovo, individuarla per esserne consapevole, accettandone i limiti e spiare nell'età che avanza nuove strade di amore e di senso.

          Invecchiare resta sempre una questione personale, ma particolarmente ai nostri giorni è forse qualcosa che si deve imparare da sé. L'evolversi della società ridimensiona i rapporti tradizionali tra le generazioni, e nasce la necessità di discernere, fra tanti cambiamenti, quale saggezza di vita e di fede è irrinunciabile nella propria vita e nella testimonianza del quotidiano.

          E' importante per me vivere bene il presente (ora più lento) anche per gli altri, senza aggrapparmi al passato e senza disperderlo, fare meno e più profondamente, ritrarmi in me stesso e non rendermi assente.

         E' la stagione dei frutti e il ringraziamento si fa ininterrotto. Senza clamore la vita spoglia delle attività, a volte anche delle parole, e tu se vuoi, nella Fede, puoi diventare sola presenza umile e adorante davanti a Dio che ti ha amato tutta la vita e ti salverà nella morte.

          Il Signore non mi chiede di essere e fare ciò che non sono e non posso,  ma di essere con semplicità "sale" in senso evangelico, cioè semplicemente fedele a Dio, perciò fiducioso e "confessante".

          Questa è anche la mia preghiera.

          Dunque le stagioni si alternano e si dice " ..sento che qualcosa sta cambiando..". E' un modo comune di dire, ma a volte la sensazione è più vissuta. " sta cambiando ", due sole parole ma dense di significati, indicano nel presente un continuo mutare, "cambiare" non rinnovare, non rendere nuovo, modificare nella struttura e nell'essenza, fare o non fare o essere altro da ciò che è attualmente.

          L'età nel suo colloquio, mi ha detto qualcosa di cui non mi ero mai accorto: il volontariato in Hospice richiede anche una fatica fisica e con questa devo confrontarmi. Qui si concretizza per me il "cambiamento", senza offerta di opzione, e da qui nasce la lettera che ho inviato a Lucia, psicologa consulente cui il gruppo dell'Hospice si riferisce.

          (  segue  )

        

domenica 2 giugno 2013

Senza titolo D - (73° di Q. di L.)






        Nella riunione di gruppo dei volontari ho riferito la storia di un malato come lui stesso me l'ha raccontata. Vita travagliata, particolarmente contrastata dalla "sorte" e dalla impreparazione a stringere rapporti familiari e sociali, con alti e bassi. Segnata a volte da soddisfazioni anche affettive, altre più numerose e che ancora permangono, dalla solitudine e dall'abbandono.

       Con la schiettezza reciproca ormai raggiunta, gli chiedo " Non pensi che dopo tante prove, successi, luci e ombre, dopo l'esperienza stessa del tempo che se ne va, al di sopra di tutte queste cose uno possa sentire il bisogno di aprirsi, di perdonare a tutti? E' un abbraccio che in fondo noi stessi sentiamo il bisogno di ricevere."

       Lo vedo sorpreso, meravigliato come per una novità troppo bella, cui forse non aveva pensato. Sembra felice al solo pensiero, sorride. Dice " Però è difficile " e continua a sorridere.

       Non so interpretare l'espressione e le parole del "mio" malato. Forse un'utopia , oppure soltanto un desiderio.*

       Perdono, un amore più grande del torto subito, bisogno di ricevere e dare amore senza condizione, senza più limiti di spazio e di tempo. Ma per una persona che dice "Però è difficile" e non smette il suo sorriso affascinato, forse è impossibile sognare un Dio che perdona?

       * "..Il tuo desiderio è la tua preghiera...il desiderio prega sempre, anche se tace la lingua.." (S. Agostino )

       nb- Prima di riferire nei dettagli  questi colloqui durante gli incontri tra volontari mi sono posto  alcune domande.
- Privacy - Ciascun operatore in questo volontariato è strettamente tenuto ad osservare il segreto professionale.
- Formazione - Nei nostri incontri è scambio, acquisizione di nuove esperienze e  riflessioni utili a comprendere e sostenere malati e parenti.
- Utilità - Nel contesto dell'Hospice siamo a contatto con  persone prossime alla morte. A mio avviso è importante per il volontario tenere sempre presente la "categoria" del perdono ( fosse soltanto per il valore pacificante che assume anche in una mentalità estranea alla Fede Cristiana).

      

mercoledì 22 maggio 2013

Senza Titolo C - ( 72° di Q. di L. )





C-  Un vecchio mite, che esprime dolcezza, aveva la mia età, anzi tre di più. Quasi ogni giorno viene a trovarlo il figlio, finito il lavoro, depresso perché sa che rimarrà solo. Il vecchio oggi è accovacciato sotto il lenzuolo, sotto i suoi pensieri, occhi socchiusi, restio a parlare. Ripasso con più frequenza nella stanza, accetta qualche sorso d'acqua. Mi avvicino, mi da lievemente di spalle e sto a fissarlo nella sua immobilità. Poso il bicchiere, mi curvo vicino al suo orecchio. Adagio lo chiamo per nome "...Non so a cosa pensi, ma guarda che ti voglio bene, qui ti vogliamo bene tutti". Subito si illumina di sorriso, volta lento la testa, ci guardiamo negli occhi e continua a ripetere la parole "Grazie". Riprende la posizione di prima, ma una mano si tende aperta, in attesa. Darsi la mano e stringerla per continuare a dirsi e ad ascoltarsi ancora, senza più parlare.

      " Ti voglio bene ", parole importanti, difficili da dire e da ascoltare. E' un dono sincero che anche tu ricevi se l'altro ha il coraggio di crederle e te le restituisce in uno sguardo consapevole e lieto: si crea un patto di vita. Forse è necessario un cammino per giungere alle cose semplici. Un cammino lungo o breve secondo il tuo passo, non secondo l'età.







      




      

martedì 30 aprile 2013

Senza titolo B - ( 71° di Q. di L.)






      B-   Una lettera su "La Repubblica, 12.7.08" titolava "Così mia madre ha avuto il coraggio di ammazzarsi..." e proseguiva nella stesura.." ..prima di raggiungere l'inabilità totale e di non perdere quindi ogni dignità". Non entro nel merito della scelta.
  
       La lettura mi ha sorpreso. Senza quasi avvedermene ho tentato di allineare nella mia mente i volti dei malati conosciuti nelle diverse situazioni familiari, al domicilio e all'Hospice. Impossibile ricordarli tutti, ma ho la certezza che per nessuno di loro mi sono trovato coinvolto nel pensiero: "Questa vita è indegna di essere vissuta." Il malato l'ho sempre sentito accanto, spesso carico di sofferenza e spesso umiliato dalla malattia sino a turbarmi, casi che ti prendono alla gola, ma non ho mai ravvisato in lui una dignità offesa, tutti erano degni di vivere.

       Soltanto l'uomo può essere degno o indegno, non la vita.

venerdì 12 aprile 2013

Senza Titolo A- ( Q. di L. 70°)






       All'inizio delle pagine di questo Quaderno mi sono intrattenuto sull'età, "L'età della pensione". Ora è lei, l'età stessa a intrattenermi, mi invia piccoli messaggi, me li ripropone quasi me ne fossi dimenticato. Li ascolterò, spero con la saggezza di non anticiparne nel tempo i significati né di ritenerli mai attuali. Prima tuttavia voglio ripercorrere con quiete e in libertà i "luoghi" conosciuti "da poco", forse un anno: l'Hospice del Trivulzio con i colleghi, il personale che ormai sento abbracciati al mio affetto e al mio spirito. Naturalmente i malati. Dunque, ricordi slegati, riflessioni, liberamente..." Senza titolo".

       A-  Al primo incontro all'arrivo in Hospice, gli sguardi sono attenti alla persona del malato perché l'accoglienza sia la più adatta. Da subito un rapporto di intuito, rassicurante e prudente, prenderà forma via via nel tempo, col malato e coi familiari. Una comunicazione fatta di simpatia e di ascolto, a volte di silenzio. Poi le parole di sempre in storie tanto diverse eppure tutte uguali, ferme davanti al muro della realtà che si impone. Dentro ciascuno la domanda celata o condivisa, il perché, il perché di tutto: rivestire di significato il tempo passato, l'oggi, forse il domani.

       Da uomo o donna malati a uomo che sta loro accanto, nessun travisamento, spero nessun preconcetto. E può accadere che il solo intrattenerci al primo incontro, metta in comune un'intesa, un riposo, quasi il ritrovare un segreto dimenticato.

       Hospice, spazio amato per la vita che ancora rimane, non luogo dedicato alla morte.

sabato 30 marzo 2013

Gli elogi (Q. di L. 69°)




       Segue 68°
      
       " ..., il prossimo turno".


       Non voglio banalizzarle queste lodi né ascoltarle con superficialità.

       Per il malato terminale la possibilità di manifestare la sua approvazione può assumere anche un aspetto liberatorio, l'occasione di confidare l'esperienza positiva inattesa che l'ha stupito: qualcuno si interessa a lui, gli vuole bene liberamente, con simpatia, gli dedica tempo, nessun contratto, né obbligo, nessun compenso.

       Ma le  parole di un malato consapevole sono voce autorevole, e stimolano il volontario a maggior responsabilità. A mio  avviso queste parole sincere nascondono un bisogno, probabilmente più d'uno, esprimono l'esito del giudizio e insieme una richiesta di aiuto (..ti apprezzo, dunque "Non lasciarmi!..). Questa esigenza di manifestare gratitudine pone interrogativi, mi sollecita a verificare se sono attento alla sensibilità della persona in una società che cambia tanto velocemente, mi chiede se sono fedele alle finalità che mi ero proposto, con quale animo vivo oggi l' "accompagnamento".

       Mi imbarazzano le lodi, accenno a un assenso di comprensione, ma le parole pesano, affettuose eppure quasi amare. Capisci che le vuoi bene, ed è bellissimo vederla sorridere fosse soltanto un attimo. La ascolti, incontri il suo sguardo, ma tieni a bada ciò che provi in te, sai che quel viso si spegnerà presto.

sabato 16 marzo 2013

Gli elogi (Q. di L. 68°)





       Passi prudenti dal letto al tavolino; sottile, braccia tese e mani a tastare il vuoto della stanza, non è cieca, è ipovedente. " Del suo volto percepisco soltanto un'ombra ". Ora è seduta. Mi annuncio, poso il vassoio del the.

       Chiedo il permesso di accostarle la mano alla tazza. Il contatto fisico è un passo delicatissimo nel rapporto col malato, va preparato, quasi attende consenso. Sospingo il piattino dei biscotti a sfiorarle le dita, aggiungo lo zucchero.

       Mi ringrazia, (elogi per i volontari).

       Più tardi ripasso, " Forse gradisce altro.. una lettura, comporre un numero al cellulare..". E' lieta di scambiare qualche parola, ci presentiamo più a fondo.

       " Avevo delle fitte alla parte malata, l'infermiere e la dottoressa sono stati molto bravi, e ora sto meglio." Parliamo.

       E' felice di essere nata nel "secolo scorso" (si riferisce a una data "antica") e di aver avuto un padre che le ha permesso di studiare. " Ho toccato con mano che il fatto di essere laureata mi ha procurato il rispetto e la stima che la società di allora non riservava alle donne."  Poi i ricordi dei condizionamenti politici nelle università, e poi  nel dopo guerra la gioia che procuravano le novità tecnologiche..." il frigo, la televisione..". Parla con semplicità, un eloquio colto e riservato, la mente sicura, non le daresti un'età tanto avanzata.

       Tutte le sere viene la figlia, si vogliono bene.
Questa faccenda degli occhi che la confina nella penombra la affligge. E' successo da poco, ma è una donna forte, dignitosa, dice soltanto " Questi occhi che mi sono serviti tanto ..". Nel silenzio forse le immagini di una o di tante storie, ma tiene per sé.

       " Come mai fa il volontario, da quando? " Da quando sono in pensione, le dico, ma è un qualifica che non mi sento addosso. E' uno stare accanto concreto, un atteggiamento non solo interiore, anche di relazione e di servizio. La vita, poco alla volta ci svela quello che siamo, al di là di tante differenze. Qui in Hospice è semplicità e desiderio di accogliere e di essere accolti..anche dal malato. Mi pare bello, almeno in certi momenti, tentare di dimenticare i propri ruoli e ritrovarsi in un rapporto più aperto, di maggior comprensione. Ripete che noi volontari facciamo una cosa grande e continua con gli elogi.

       Io non so come venirne fuori e per tagliar corto le dico "Certe cose lasciamole dire soltanto al buon Dio", lei decisa ribatte " No, no, ho diritto anch'io di dirle !". Sbotta in una risata di simpatia.

       " A venerdì pomeriggio, il prossimo turno."

       (continua)
 

domenica 24 febbraio 2013

OTTANTANNI





Viaggio unico, ininterrotto. Via che cammini soltanto in salita.

Una frase letta a bordo sentiero s'è scolpita nell'animo, sa di silenzio, di sogni di pace:

 "  Alta via  magnifica terra  "

Ci arrivi portato dai giorni.

Spazi di novità, di lontananze, di presente, di terra che cammini e cielo a portata di mano.

Terra di silenzi e aria sottile, di brezza e vento impetuoso, di sole bruciante e gelo.

Terra che ancora pone domande, terra di attesa del nuovo, attesa essa stessa vita.

Terra di appuntamenti che non avevi fissato, di scadenze.

Terra di stanchezza e di ansia. Terra ostile, terra amica, terra sconosciuta, terra bella da amare; 

di luce intensa e buio. Sentiero obbligato.

Terra dell'ultimo tratto, breve o lunghissimo non sai.

Terra di affetti che ti porti dentro di chi ti vuole bene

e non ti lascia

e non lasci

e non lasci nessuno

neppure chi non conosci, amico dell'umanità tutta.

Terra di separazione anche da te stesso, che chiede umiltà e ti aiuta a diventare umile. Terra a te stesso segnale, terra di confine.

Cammino importante, così differente ad ognuno.

Terra di speranza, di amore e perdono ricevuti da sempre, di contemplazione e di lode, di stupore per la vita ricevuta e la bellezza che attendi.

Terra di Dio con l'uomo, 

non di tutti con Dio

un Dio che ti cerca

                                                                          un Dio che ti ama.




domenica 17 febbraio 2013

Il malato accenna alla fede cristiana (Q. di L. 67°)





       ( segue da 66°)
    
       Le parole del malato, le occasioni concrete dello stare insieme, la presenza dello Spirito suggeriscono al volontario lo spunto da cui iniziare il colloquio, anche se a volte ci si sente incapaci di parlare delle certezze cristiane verso le quali ci avviamo. Ascoltare e parlare apertamente della Fede, della consolazione e delle difficoltà che essa comporta, condividere parole e silenzi, gesti e sguardi, anche questo può essere espressione di annuncio nell'attenzione costante a non superare la soglia che l'altro consente. L'apparente fissità del tempo che leggo sul volto del fratello malato, lo sguardo che non mi abbandona,... rasento ciò che è impossibile dire, le parole si fanno più rade. Mi aiuta il silenzio ( il silenzio condiviso è intesa ), mi aiuta la mia povertà che il malato già conosce, e tutto resta umano e fiducioso in Gesù, il Dio fatto uomo, presente ed eterno.

       Tentare di "vivere nel presente" la presenza e l'amicizia gioiosa di Dio insieme al malato nei limiti imposti dalla sofferenza e non escludere la materialità delle cose che ci circondano; l'esserci, il fare, ciò che accade di consueto e di straordinario, tutto  ascolti quasi a conciliare il tempo e l'eterno. Non è negare attenzione al tempo futuro, né astrazione o assenza o estraneità, non è separazione tra corpo e spirito, non eccezionalità ma semplice visione cristiana della vita; è preghiera a vivere l'unicità totalizzante della Fede nel momento in cui ogni evento accade: il presente, tempo in cui la "speranza certa" illumina l'incognita umana del dopo.

mercoledì 6 febbraio 2013

Il malato accenna alla fede cristiana (Q. di L. 66°)






       Vorrei contrastare la convinzione abbastanza diffusa di pensare il malato "verso la fine" come persona ormai inerme, non più in grado di ragionare validamente e decidere. L'espressione " Ormai non c'è più niente da fare", può esprimere l'atteggiamento anche inconsapevole, di un abbandono precoce, nulla può più accadere di nuovo nella vita del malato, anche Dio tace , unica la morte viene e tutto livella. Forse non ci si rende conto che ci troviamo davanti una persona viva che abbiamo già abbandonato, è viva e insieme non lo è più. Ma questo probabilmente dipende soltanto dall'errore di valutazione di chi non conosce quanto siano importanti e densi di vita i momenti verso la fine. Può accadere di incontrare una vivacità intellettuale e spirituale inattese, una fede e una testimonianza che il volontario ascolta attentamente per cogliere l'approccio personale con cui il malato vive la sua fede, quali sono i suoi riferimenti, la sensibilità, l'esperienza, la preghiera. Anche il malato "verso la fine" può vivere angosce, conflitti, dubbi, desideri, ripensamenti ed è ancora capace di libertà e di scelta. Sta compiendo un cammino mai progettato e si trova prossimo a un passaggio che dovrà accettare. La mente e l'animo, pur non ancora separati dalle persone e dalle cose, poco alla volta si rivolgono a Dio soltanto: la vita e la morte che ora il malato sta vivendo sono dentro l'amore con cui Dio la ha pensato da sempre.
       Una testimonianza vissuta sul filo della vita e della morte possiamo leggerla nelle pagine del libro "Il sergente nella neve" in cui l'autore descrive la ritirata di Russia nell'ultimo conlitto, e suppone vicina la sua fine. Stremato, in un procedere ormai quasi per inerzia, il passo che affonda nella steppa bianca, Rigoni Stern con le forze che gli restano ripete a cadenza, senza interruzione, le sole parole  "....Adesso e nell'ora della nostra morte,....adesso e nell'ora della nostra morte,,,,,adesso e nell'ora della nostra morte,....adesso..e nell'ora.." Il pensiero è rivolto a Dio, implorato nella sensibilità mariana del Sergente; è l'affidarsi a Dio che lo accompagna nel tempo incerto dell'ultimo tratto di marcia verso la "Patria".  (..La mente e l'animo, pur non ancora separati dalle persone e dalle cose, poco alla volta si rivolgono a Dio soltanto..)

Le parole del malato..( segue al 67°)

mercoledì 23 gennaio 2013

La relazione verso la fine (Q. di L. 65°)







       ( segue da 64°)

       Il malato può intravedere che " i fatti" soltanto sono inadeguati a spiegare la vita, il cuore del suo disagio ha bisogno di uno sguardo che li oltrepassi. Allora il colloquio diventa personale, vivace: vengono i chiarimenti, le osservazioni, i commenti si intrecciano, si ridimensionano; si svelano nuovi stati d'animo. Nel colloquio l'intuizione dell'uno e dell'altro o la domanda lasciata in sospeso aiutano, come una piccola luce, a portare più in là il pensiero. Tutti sentiamo il bisogno di vivere vicino a quelli che lasciamo, anche gli assenti, il bisogno del loro amore, di fare pace, di chiedere e dare perdono.
       Un nuovo percorso di riflesione può aprirsi verso una speranza pacificante. Un cammino a tratti incerto, iniziato insieme al volontario nell'abituale rapporto di rispetto affettuoso e prudente, di attenzione a preservare la coscienza del malato nella sua libertà; con la determinazione da parte del volontario a conservare la propria identità, ad evitare esibizioni di fede (ché, se fede esiste, il solo essere sé stessi la esprime), e il buonismo emotivo (comportamento alla fine irrispettoso dell'altro).