lunedì 22 febbraio 2010

La collaborazioen Infermiere - Volontario (termina 12° di Quaderno di Lavoro)

Via via che la relazione diviene più familiare, e proprio a motivo di ciò, il volontario ripropone a sé stesso il limite che gli compete, particolarmente ponendo maggior autocontrollo alla propria spontaneità e astenendosi da considerazioni attinenti terapie, sintomi, tempi, previsioni: in tutto ciò il volontario resta semplice spettatore. Presenza ed estraneità significative che rafforzano la figura del volontario e invitano il malato ad uscire dal pensiero ricorrente della sua malattia per aprirsi ad altri argomenti.
In modo speculare è opportuno che l'infermiere non sottovaluti la delicatezza e l'importanza della situazione quando gli accade di incontrare il malato in presenza del volontario. I numerosi impegni professionali certamente premono nel loro susseguirsi, richiedono quasi una compressione del tempo, e tuttavia è sempre auspicabile una particolare discrezionalità nell'aprirsi il varco durante una visita o un colloquio in corso col volontario. Non si tratta di graduare importanza, precedenza o tempo a favore del volontario o dell'infermiere: sono in gioco la precedenza, l'importanza, il tempo riservati al malato almeno per alcuni istanti: quelli necessari ad uscire da un tipo di relazione (o stato d'animo o argomento) ed affrontarne uno di natura differente.
La domanda di una bambina alla sua mamma, mi offre l'occasione di definire meglio il problema.
"Queste sono le mie mani, questa è la mia testa, i miei piedi, le mie gambe, questo è il mio petto, la mia voce...ma io dove sono?"
Non credo importi conoscere la risposta della donna. E' importante invece ciò che ciascuno di noi oggi risponderebbe a sé stesso. Un volontario, ad esempio, potrebbe così rispondere:
"Io sono il mio corpo, la mia intelligenza sono io, il mio spirito, la mia volontà, il mio modo di rapportarmi con gli altri sono io, il mio modo di ridere e di piangere, di parlare e di tacere, le mie speranze, il mio soffrire, i sogni, la paura, se ho fede la mia preghiera, tutto e altro ancora sono io..." Qui sta la complessità insondabile dell'uomo e la molteplicità degli spazi in cui operano fianco a fianco volontario e infermiere.
Voi infermieri offrite prestazioni irrinunciabili per il controllo del dolore, al punto che spesso la vostra opera condiziona la sopportabilità della malattia del malato e dell'angoscia nella vita dei familiari.
Noi volontari ci occupiamo di ciò che non rientra nelle vostre competenze professionali, e disponendo del tempo che voi non avete, tentiamo con determinazione di sostenere il malato nel suo cammino e nelle sue soste. Lo accompagnamo senza abbandonarlo mai: né lui né la sua famiglia.

domenica 14 febbraio 2010

La collaborazione Infermiere - Volontario (12° di Quaderno di Lavoro)

( Approccio informativo sulle U.C.P.D. - Spunti di conversazione con gli infermieri )



Svolgo attività di volontariato inserito in una Unità di Cure Palliative Domiciliari. I rapporti con i colleghi, con gli infermieri e coi medici, vissuti in un normale clima di serenità, sono improntati ad un forte impegno nella professione e nella responsabilità personale. Questo atteggiamento presuppone la conoscenza delle mansioni proprie ed altrui, quindi la capacità di individuare e rispettare gli spazi professionali e di volontariato: anche su queste realtà si fondano la stima e la libertà di instaurare tra noi un colloquio aperto e sincero.


Mi chiedo quanta difficoltà possa suscitare in un infermiere professionista, al suo ingresso nelle U.C.P.D., l'idea di collaborare con una persona del tutto estranea alla cultura medica. I volontari infatti provengono da attività professionali e livelli culturali differenziati lontani dal "mondo della sanità, pur avendo frequentato un corso di informazione sulle problematiche del malato oncologico e della sua famiglia. Perplessità ancor più plausibile in un contesto sociale che riserva sempre maggior apprezzamento alla specializzazione.


Queste osservazioni mi invitano a intrattenere gli infermieri sul "volontariato" e tentare alcune puntualizzazioni.


La specifico della professione infermieristica si manifesta in tutta la sua evidenza negli atti e nei rapporti col malato di chiara natura paramedica: difficile invece individuare la natura e il limite dell'attività svolta dal volontario, attività non professionale, che si esplica in un contesto semplicemente umano.


Sappiamo che il rapporto col malato è innanzi tutto rapporto con una"persona" e come si possa venire coinvolti oltre la sfera professionale: in tale rapporto confluiscono l'accompagnamento da parte del volontario e l'assistenza propria dell'infermiere, impegnati l'uno e l'altro a mettere a fuoco l'ambito delle rispettive competenze.


In questo consistono la forza e la fragilità della nostra collaborazione, la cui qualità non può essere priva di effetti per il malato. Il rapporto umano col paziente non può che essere mantenuto, ma è necessario individuarne le prospettive.


Il volontario a contatto col malato ha il solo scopo di aprirsi alla relazione umana nella modalità che il malato stesso vorrà instaurare, negli ambiti e nel tempo a lui graditi, con il bagaglio spirituale, culturale e psicologico che ognuno porta con sé, senza imporlo e senza rinunciarvi.
Nel periodo iniziale l'approccio può trovare sbocco in attività di aiuto materiale, concreto: porgere al malato il bicchiere, aiutarlo a trovare una nuova postura, ricordargli l'assunzione di una medicina, contattare con urgenza l'infermiere per l'insorgere improvviso di un aggravamento. Ma la malattia, nel suo stesso aggravarsi, non è l'unico motivo di inquietudine per il malato, e col tempo il colloquio che il volontario intesse con " l'uomo" colpito da malattia (non col malato in quanto tale), può inoltrarsi in ambiti personali di vita vissuta, di ricordi, di spiritualità, di dubbi e speranze; il malato può conoscere il riposo che suscita la comprensione condivisa nel silenzio.
( segue )

venerdì 12 febbraio 2010

Condono preventivo

da Corriere della Sera,10.02.2010 - via multe per 100 milioni
E SUI MANIFESTI ABUSIVI ARRIVA IL "CONDONO PREVENTIVO"

Roma - di Sergio Rizzo


-Condoni ce ne hanno somministrati di ogni tipo...
Ma un condono preventivo non si era mai visto. ..la tradizionale sanatoria... viene estesa al 31 maggio 2010. Ciò significa che i partiti avranno altri quattro mesi di tempo per devastare i muri delle città durante e dopo la campagna elettorale per le regionali..
...Il primo giugno basterà che ciascun partito paghi mille euro per ogni provincia dove ha attaccato manifesti abusivi, e la faccenda non se la ricorderà più nessuno. ...tranne forse i cittadini, che avranno i muri delle loro case imbrattati, e i Comuni che dovranno rinunciare a un bel po' di soldi.
" Abbiamo stimato che ad ogni elezione di carattere nazionale, tra sanzioni per manifesti abusivi e spese di defissione le amministrazioni comunali ci rimettono da 80 a 100 milioni. ...danni enormi ai Comuni, i quali hanno già messo in bilancio le sanzioni dopo aver comunque speso milioni per staccare i manifesti." (il segretario radicale Mario Staderini)
-
Danni economici alle Amministrazioni, non indolori per i cittadini: questi i danni che "si vedono": ma del danno "invisibile" chi ne parla?
E' nato l'abuso premeditato, continuato e "assolto" in gestazione. E' il rifiuto della Legge, incurante del rispetto del cittadino. Il degrado che si assolve da , spavaldo e senza rumore, sale in cattedra e sancisce forse per la prima volta una legge che, mentre lo definisce e condanna, gli riconosce dignità e legalità. Sommessamente si insinua a convincere le menti e le coscienze che l'abuso è qualcosa di opinabile, cui è sempre possibile porre rimedio. Il tentativo di sottrarsi al giudizio critico del cittadino semplicemente perchè il sopruso è fatto diventare legale.
Quando e in quale occasione più grave si rinnoverà l'esperienza?

mercoledì 10 febbraio 2010

da "Avvenire, 7 febbraio 2010 - Oggi Lombardia pag. 3"




Pedemontana, l'utopia diventa realtà
Due ministri all'apertura del cantiere, lodi al " metodo lombardo"

...dando di fatto il via ai lavori per la realizzazione della Pedemontana, l'autostrada destinata a risolvere i problemi della viabilità...

Partendo da Cassano Magnago, lungo 70 chilometri, la nuova arteria attesa da oltre 40 anni,...

( in riquadro evidenziato)

Alla cerimonia intervenuto telefonicamente Berlusconi
" Una regione dinamica, che ha vinto la burocrazia"

Da Cassano Magnago
Pierfranco Redaelli

lunedì 8 febbraio 2010

Mi incammino verso il malato ( 11° di Quaderno di Lavoro )

Mi rendo conto che un'esposizione di tipo analitico sul modo di predisporsi all'incontro col malato può insinuare una perplessità: un "scheda" così fatta compromette la spontaneità, l'umanità dell'approccio. E' il dubbio che voglio dissipare.

La spontaneità e l'umanità dell'incontro sono indispensabili a una relazione posta su livelli di normale reciprocità. Non si tratta perciò di stabilire la superiorità su alcuno, né tendere a un ipotetico perfezionismo, che rischierebbe oltre tutto di snaturare e impoverire il rapporto: il malato non avrebbe mai la possibilità di aiutarmi e di correggermi, né io la possibilità di ringraziare o di farmi perdonare.
Come mai allora, dopo questo tentato elogio della spontaneità e dell'umanità del rapporto, la necessità di un esame preliminare ad ogni incontro, di un metodo di preparazione alla visita che mi diventi abituale? Sono semplicemente competenze che interessano ambiti distinti e diversi nella loro natura: altro è la conoscenza dei dati, dei necessari requisiti "professionali" (uso impropriamente il termine), altro è l'animo con cui si esercita la "professione". Una maggior preparazione può soltanto favorire l'esito positivo della prestazione. Mi hanno convinto l'esperienza e...qualche insuccesso.
Mentre mi avvio verso l'abitazione del malato, ho bisogno di fare il punto della situazione, è necessario qualche minuto di silenzio e di concentrazione. Come in un film rivedo alcune sequenze.
La situazione:
ricostruisco il quadro generale entro il quale si colloca il malato:
ambiente logistico - livello economico e sociale - limiti relativi - composizione familiare - tipo di relazione umana interna - ruoli dei singoli.
Il malato:
livello di consapevolezza
professione svolta - cultura - interessi - orientamento della personalità.
Stato della malattia e rapporti col personale medico / paramedico - difficoltà emerse durante l'ultima visita - valutazione critica sullo svolgimento dell'ultimo incontro.
Eventuali progetti di colloquio o di comportamento in relazione a quanto già emerso, o al verificarsi di situazioni prevedibili.
L'attenzione è volta alla mia persona:
Ceck-up a 360 gradi. Si tratta di verificare una posizione che pur non soffocando la spontaneità, predispone e controlla l'incontro. Mi chiedo se mi sento pronto a visitare il malato: stanchezza, preoccupazioni personali o al contrario particolare euforia, esuberanza, potrebbero alterare la mia disponibilità di associarmi agli stati d'animo che incontro. La stanchezza potrebbe escludermi dalla partecipazione al sollievo che un fatto pur minimo e marginale ha suscitato. La mia serenità e la stessa gioia (che pure non è allegria), devo viverle ed esprimerle al malato con cautela: potrebbero stridere con un dolore o un problema nuovi che ieri non conoscevo ed erano imprevedibili. L'esito sarebbe una stonatura nella relazione col malato e con la famiglia: un errore possibile, fonte di estraneità, inaffidabilità affettiva, allontanamento.
Mi predispongo innanzi tutto all'ascolto, privilegiando la disponibilità e l'attenzione alla situazione nell'immediato concreto.
Scelgo il saluto che offrirò al malato e ai familiari: le parole che danno inizio all'accompagnamento del giorno sono valutate e scelte in relazione all'evoluzione delle visite precedenti. Non sempre le parole più spontanee sono le più felici quando si sa che riceveranno solo risposte di segno negativo! Possono invitare il malato a ripercorrere inutilmente situazioni di dolore ormai superate, ma soprattutto imprimono al colloquio un inizio in tono minore. Naturalmente non si può escludere il caso in cui si riterrà opportuno offrire subito l'occasione di uno sfogo liberante, per attendere poi di indirizzare la conversazione su argomenti di svago o comunque più sereni.

martedì 2 febbraio 2010

40 metri

Mare, 40 metri di appartamento, sole falciato a intervalli da qualche nube, 8 gradi, vento lieve, piacevole. Così almeno appare guardando fuori.

Sì, perché dall'arrivo sono sigillato in casa con la sinusite e gli occhi gonfi che non mi permettono di leggere e scrivere a lungo. Dopo cinque giorni di clausura mi ritrovo ancora a passeggiare e passeggiare per i miei 40 metri, scopro una variante al percorso, anticipo una sosta di osservazione alla finestra di cucina o del soggiorno, guardo le foglie fuori e i panni stesi ai balconi, le nubi, i gabbiani... mi fermo. C'è tempo per pensare.

Per esperienza dico "ne avrò ancora per 4 -5 giorni, poi passerà"

Sul giornale e alla tele di nuovo la questione delle carceri. Sovraffollate, fino a 4 o più persone per cella, qualcuno in attesa di giudizio.

Io, paragonarmi ai carcerati? Perché no? Fortunatissimo, sproporzionatamente fortunato. Non è mancanza di rispetto, mi capita di riflettere poco sul molto che ho. E che ho avuto.

Questo "pensare" mi avvicina una parte di umanità reclusa, sconosciuta, invisibile e temuta, non come noi fuori, persone per bene.

Non conosco da vicino il dolore che c'è là dentro... avesse ciascuno i miei 40 metri almeno per camminare, 4-5 giorni per dire poi "è passata, comincerò daccapo!".