sabato 27 novembre 2010

L'attesa ( Luca ) (25° di Q. di Lavoro )

Caro Luigi,

...Non so se mi sarebbe facile "accettare comunque, anche ciò che si annuncia negativo", perché accettare è una parola grande, sinonimo di una grande fede. E allora io forse rimuovo la questione: per così dire " tengo gli occhi bassi ", guardo solo se e come posso "essere di sostegno agli altri, nella ricerca continua del limite tra discrezione, prudenza e coraggio", sperando che si apra uno spiraglio che me ne dia la possibilità. E qualche volta avviene il miracolo ! Magari uno "spiraglino" davvero modesto, ma è pur sempre un miracolo.

domenica 21 novembre 2010

L'attesa ( 24° di Q. di L. )

L'attesa ci accompagna a intervalli di tempo, dalla nascita fino a quando la vita si conclude. Abbiamo atteso l'ora dei primi pasti, l'ora del gioco, una festa, un incontro, l'esito degli studi...una realtà non solo materiale che ci ha coinvolti e ancora non conoscevamo; attesa che si riveste della speranza o del timore di ognuno.

Eppure dopo tanta esperienza è difficile vivere l'attesa: può procurare un senso di spaesamento, di sospensione, quasi di estraneità o di assenza nello scorrere del quotidiano, un continuo rimando, il rinvio costante di scelte, di prese di posizione.

Il contesto dell'accompagnamento del malato terminale mette in evidenza aspetti insoliti. Il malato ricorda quando, ancora sano, in ogni attesa aveva la possibilità di agire, di tentare qualcosa per indirizzare il corso degli eventi. Ora questa libertà gli è negata. Anche i parenti spesso vivono nell'ansia di notizie temute e sempre ignote nel loro concreto manifestarsi.

Il volontario condivide questi momenti, ma meno coinvolto direttamente, coglie con maggior evidenza come nel corso della malattia l'attesa non rappresenti una situazione eccezionale, ma sia realtà ricorrente, vita autentica che si fonde con le "solite" cose, che si iscrive nella "normalità" del tempo presente.

Il modo in cui viviamo l'attesa rivela noi stessi, chi siamo: lo constato osservando il malato, i familiari, capisco che avviene inconsapevolmente, e che anch'io ne sono in qualche misura coinvolto. Perciò penso l'attesa come tempo privilegiato di colloquio, importante, ci si può conoscere con più immediatezza e profondità, si comunica anche col silenzio ciò che nei giorni della salute si taceva, ma non con argomenti di "pensiero", semplicemente con il modo di vivere questa realtà cui non è possibile sfuggire.

La differenza della situazione in cui mi trovo rispetto a quella del malato, dei familiari, è tale che a volte mi fa sentire a disagio, anche se mi pare di essere loro sinceramente vicino. Soffro la loro angoscia e insieme capisco che per me volontario, l'attesa rappresenta un periodo di attività vigile, vissuta con particolare attenzione. Sono disponibile ad accettare "comunque" anche ciò che si annuncia negativo; accettarlo in prima persona per essere di sostegno ad altri, nella ricerca continua del limite tra discrezione, prudenza e coraggio del dire, e nel rispetto dovuto alla necessaria "solitudine" di ogni persona.

La fede cristiana ricorda che ogni momento della vita è tempo di Dio: allora anche l'attesa, tempo di adesione fiduciosa, di disponibilità fedele alla Parola; di certezza della fedeltà di Dio. Questa fede mi indica il modo di vivere l'attesa, anche quando non fosse opportuno parlarne; a fianco del malato, nel silenzio, mentre gli prendo la mano.

venerdì 19 novembre 2010

Gratificazione ( 23° di Q. di L. )

Mi soffermo sull'importanza che la gratificazione assume agli occhi dei malati e dei loro cari. Durante l'accompagnamento serbo particolare attenzione a ciò che mi colpisce positivamente, gli atteggiamenti delle persone, i rapporti familiari e le cose, la conduzione nel succedersi degli eventi, e in generale il modo in cui sono coinvolti il malato e chi gli è vicino. Nel momento in cui ciò accade o a tempo debito, sarà importante far notare il mio apprezzamento.

Portare un po' di incoraggiamento alle persone ormai avvezze soltanto ad ascoltare "sentenze", a ubbidire a prescrizioni autorevoli, a ricevere da tutti consigli, ad essere più consolate che stimate, apprezzare ciò che in condizioni difficili è loro sfuggito, spesso rappresenta un aiuto concreto, stimolante.

L'ammirazione sincera e obiettivamente motivata non ammette finzioni, è parola pronunciata come le altre, senza enfasi né sottolineature e giunge quasi sempre inattesa; lo stupore aiuta a capire che qualcosa di bello è possibile e presente anche nei giorni della sofferenza, addita uno spazio di libertà e di scelta inviolabile anche dalla malattia. Forse è l'occasione di rincuorarsi, per continuare un po' meno soli.

martedì 2 novembre 2010

Una famiglia sul sentiero del tempo

Cecco da molti anni, Cecilia appena due mesi. Si sapeva ma il fatto irrompe, non chiede consenso, conduce in ogni suo svolgersi. Le stanze anonime del grande ospedale, lunghissimi i corridoi, i trasferimenti da un padiglione all'altro, le indagini di laboratorio divenute ormai insopportabili; le condizioni non solo fisiche incontrollate, eppure inatteso il riaffiorare breve ora del pensiero che comprende, ora della parola che commenta e chiede, che prega. E' scivolata via in un giorno e una notte. Sofferenza, sì, ma di lei nell'attesa dell'Incontro trattengo la leggerezza limpida dell'animo, la quiete intatta di chi si affida..."Nulla ti turbi.." .

In cielo avrà incontrato anche il nostro fratellino che hanno conosciuto mamma e papà soltanto, il primo di sei figli. Io sono l'ultimo.

Mariuccia è suora al "Cenacolo" di Torino, ogni tanto passa a Milano per i suoi impegni di apostolato, ci si vede, ci si racconta, si condivide.

Vicino,appena nella scala accanto alla mia abita Agostino, ora solo, e con lui capita con maggior frequenza un incontro, e parlare e coinvolgersi nel quotidiano. A volte tra noi, possono non collimare criteri, modalità o sensibilità personali di approccio a un problema o ad altra realtà, il tracciato della vita è diverso per ognuno, ma avere un fratello significa ricongiungersi nel ricordo concreto temporale del papà e della mamma nel loro stesso essere così come sono vissuti, come sono ancora ai nostri occhi, nella memoria; essi ci hanno lasciato unità nella visione di fondo sull'uomo e sul mondo...e sul tempo di Dio.

Tutto questo è bellissimo, sono contento di avere un fratello, proprio il fratello che ho (non metto in disparte Mariuccia ....ma non abita nella scala accanto).

Ieri a metà pomeriggio sono andato nella chiesa della mia parrocchia. Chiesa vuota, silenziosa. Nel corridoio centrale qualche passo e mi siedo su una panca. Qualcuno entra, forse si è fermato, poi passi discreti fino a dove mi trovo. "Ago ! qua !" e con la mano picchietto la panca.

E' bello. Due vecchi vicini e il lumino rosso all'altare nella chiesa vuota, in silenzio pochi minuti; poi, sempre seduti a scambiarci qualche parola.

Usciamo insieme, facciamo spesa all'Esselunga.