domenica 21 novembre 2010

L'attesa ( 24° di Q. di L. )

L'attesa ci accompagna a intervalli di tempo, dalla nascita fino a quando la vita si conclude. Abbiamo atteso l'ora dei primi pasti, l'ora del gioco, una festa, un incontro, l'esito degli studi...una realtà non solo materiale che ci ha coinvolti e ancora non conoscevamo; attesa che si riveste della speranza o del timore di ognuno.

Eppure dopo tanta esperienza è difficile vivere l'attesa: può procurare un senso di spaesamento, di sospensione, quasi di estraneità o di assenza nello scorrere del quotidiano, un continuo rimando, il rinvio costante di scelte, di prese di posizione.

Il contesto dell'accompagnamento del malato terminale mette in evidenza aspetti insoliti. Il malato ricorda quando, ancora sano, in ogni attesa aveva la possibilità di agire, di tentare qualcosa per indirizzare il corso degli eventi. Ora questa libertà gli è negata. Anche i parenti spesso vivono nell'ansia di notizie temute e sempre ignote nel loro concreto manifestarsi.

Il volontario condivide questi momenti, ma meno coinvolto direttamente, coglie con maggior evidenza come nel corso della malattia l'attesa non rappresenti una situazione eccezionale, ma sia realtà ricorrente, vita autentica che si fonde con le "solite" cose, che si iscrive nella "normalità" del tempo presente.

Il modo in cui viviamo l'attesa rivela noi stessi, chi siamo: lo constato osservando il malato, i familiari, capisco che avviene inconsapevolmente, e che anch'io ne sono in qualche misura coinvolto. Perciò penso l'attesa come tempo privilegiato di colloquio, importante, ci si può conoscere con più immediatezza e profondità, si comunica anche col silenzio ciò che nei giorni della salute si taceva, ma non con argomenti di "pensiero", semplicemente con il modo di vivere questa realtà cui non è possibile sfuggire.

La differenza della situazione in cui mi trovo rispetto a quella del malato, dei familiari, è tale che a volte mi fa sentire a disagio, anche se mi pare di essere loro sinceramente vicino. Soffro la loro angoscia e insieme capisco che per me volontario, l'attesa rappresenta un periodo di attività vigile, vissuta con particolare attenzione. Sono disponibile ad accettare "comunque" anche ciò che si annuncia negativo; accettarlo in prima persona per essere di sostegno ad altri, nella ricerca continua del limite tra discrezione, prudenza e coraggio del dire, e nel rispetto dovuto alla necessaria "solitudine" di ogni persona.

La fede cristiana ricorda che ogni momento della vita è tempo di Dio: allora anche l'attesa, tempo di adesione fiduciosa, di disponibilità fedele alla Parola; di certezza della fedeltà di Dio. Questa fede mi indica il modo di vivere l'attesa, anche quando non fosse opportuno parlarne; a fianco del malato, nel silenzio, mentre gli prendo la mano.

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