venerdì 30 gennaio 2009

Neve e mare

Dopo giorni di neve a Milano é una fortuna ritrovarsi qui al mare. Il clima é freddo non rigido e poco alla volta la tensione della città lontana si assopisce, è svanita. In compagnia di mia moglie Elena mi godo anima e corpo la luminosità dell'aria, la quiete, il tepore della casa.

Poso il libro sul tavolo, qualche passo e distanzio i vetri della finestra, poco più che una fessura eppure è già più luce più colore nella stanza. Riprendo in mano il libro, appena un attimo, la finestra mi attrae ancora, ci ritorno e la spalanco. Seduto, sto a fissare. Il suo rettangolo é diventato cornice all'azzurro, una linea orizzontale divide l'intensità dei colori, una linea soltanto ma è importante. Pomeriggio avanzato, bisogna chiudere, anche il giorno si posa.

La bellezza rimane inviolata non puoi appropriartene, resta là,la puoi vedere, rivivere nella memoria e nell'animo e gioire, ma c'è distanza incolmabile tra te e lei, come in tutte le cose belle, puoi persino possederle ma non la loro bellezza. Però alcuni, la bellezza neppure possono vederla come invece è accaduto oggi a me, né l'hanno mai potuta vedere, tranne quella che hanno dentro nell'animo perché abita la loro casa. La bellezza degli altri o la tua, quella che ognuno può regalare, occhi che sorridono o che piangono, allegri o tristi, occhi appena accesi o che si stanno spegnendo...eppure, se vuoi, se sai leggerli, anche quelli possono essere gli occhi della grande bellezza.

Si fa cena. Conversiamo del più e del meno, poi la tele per sentire come vanno le cose. Si aprono altre finestre.

Recessione, banche e industrie barcollanti, Eluana Englaro, la "quarta" settimana, ma oggi soprattutto la tregua in Medioriente. Nel silenzio della nuova "normalità" emerge l'orrore di ciò che é stato, e una scintilla di speranza.

1943. Il suono delle sirene desta dal sonno nella notte, tutte le famiglie del fabbricato scendono in fretta le scale, tre rampe per piano, tutti in cantina nel ricovero. Ero bambino e mi è rimasto negli occhi il fabbricato di fronte, le colonne di fuoco che uscivano da quelle finestre, ricordo gli sguardi che si scambiavano i grandi. La mia famiglia é sfollata. Sul Corriere della Sera (8-8-43) la foto della mia casa bombardata alcuni mesi più tardi, detriti e travi a terra. Svetta un muro divisorio privato degli ultimi piani, sei comignoli allineati in coppia là in alto, la distanza della solitudine, dell' inutilità, finestre vuote che danno sul vuoto. Da trattenere il fiato.

Memorie per tentare di condividere più a fondo le tragedie di popoli, di singoli uomini e donne di oggi, nessuna presunzione però di poterle comprendere, il dolore lo conosci quando lo vivi e neppure allora sai penetrarne il senso.

Domani riaprirò la finestra sul mare e contemplerò la bellezza.

Domani e ogni giorno una preghiera. Ma Dio a nessuno toglie la libertà di scegliere il bene o di scegliere il male.

giovedì 29 gennaio 2009

Due parole sulla canzone di De André



Questa canzone trasmette l'ansia vissuta da Piero, una questione di attimi, pochi per decidere, e Piero non spara o forse un solo colpo. Il nemico é uno come lui, lo distingue la divisa, soltanto qualcosa di esterno. Anche per lui una questione di attimi.

Bellissima tutta la canzone, le immagini, l'immediatezza, il ritmo, la voce. Ogni brano é da ripensare, come ad esempio la singolarità della rosa e del tulipano che svaniscono nella immensità del rosso abbagliante di "mille papaveri", oppure come il sogno e lo slancio e il sorriso della vita nella lucentezza, nel guizzo dei "lucci argentati" cui si contrappone improvvisa e terribile l'immagine della guerra, i "cadaveri dei soldati". L'autore li riveste di dignità e onore, non trascinati non sospinti in modo scomposto dalla corrente, "portati in braccio".

Una continua metafora della vita e della morte, dell'amore e dell'odio che permette come sempre interpretazioni personali. Una composizione dal valore poetico e artistico, descrive temi essenziali proponendoli nell'attualità con potenza incisiva.

Non possiedo una preparazione sufficiente ad affrontarne la critica, tuttavia penso che sarebbe interessante conoscere le differenti interpretazioni che altri possono dare, per scoprire nuovi significati, per gustare più a fondo questa "piccola" opera d'arte.

De André racconta in modo franco, quasi con rabbia il coinvolgimento "obbligato", i condizionamenti, l'aggressività della paura e della morte, una storia tra due soldati: uno lo conosco, ha nome Piero, l'altro rimane sconosciuto, é "in fondo alla valle" nella medesima situazione, diversa soltanto la divisa.

Dunque si parla di fatti immaginati ma concreti con parole coraggiose, con una franchezza che non ho mai avuto occasione di incontrare nelle persone che mi hanno raccontato la loro storia di guerra, della guerra vera combattuta in Africa, in Grecia, in Russia, in Italia, fascista o partigiano...situazioni incredibili, differenti anche secondo la latitudine, paurose..ma nessuno che abbia trovato il coraggio di dirmi "..io ho ucciso".

Una eccezione però é dovuta. Ho conosciuto un ragioniere, dirigente nel settore assicurativo dell'ufficio assunzione rischi industriali, persona che ho sempre stimato, accogliente, affabile, capace ed essenziale nel tratto e nella professione. Ha "fatto la Russia". Muto su questo, impenetrabile, mai pronunciato parola, non un cenno, un lamento,un'allusione, con nessuno. Un silenzio non ostentato, anzi custodito, dignitoso e forte.

Ti guardo e sento affetto per te, e ti ringrazio. Caro amico anch'io non conoscerò "mai" la tua storia di alpino, ma la considerazione che ho di te mi fa pensare che porti nel cuore il peso della tragedia di un popolo che fin da allora non voleva la guerra. Nel tuo silenzio ci sono anch'io, forse siamo molti, anche noi in silenzio, estranei eppure presenti fra quei ricordi che solo tu conosci, insieme perché tutto questo appartiene anche a noi. Poi l'età avanzata aggiunge cose nuove, nuovi modi di sentire e di vivere: il perdono e la speranza.

Rileggo e mi accorgo che non mi hai detto se hai ucciso, forse a nessuno é facile dirlo, ma ora la domanda ha perso interesse. Il tuo silenzio mi ha detto di più.

venerdì 9 gennaio 2009

LA GUERRA DI PIERO - Fabrizio de Andrè


Questa canzone riascoltata dopo molto tempo, mi ha interessato in modo nuovo rispetto al primo ascolto. Ho intenzione di scriverne in proposito. So che il testo senza musica non ha la stessa forza. Confido che già la conosciate o che abbiate la possibilità di ascoltarla.



Dormi sepolto in un campo di grano,
non é la rosa non é il tulipano che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.

Lungo le sponde del mio torrente voglio che scendano i lucci argentati,
non più i cadaveri dei soldati portati in braccio dalla corrente.

Così dicevi ed era d'inverno e come gli altri
verso l'inferno te ne vai triste come chi deve,
il vento ti sputa in faccia la neve.

Fermati Piero, fermati adesso, lascia che il vento ti passi unpo' addosso,
dei morti in battaglia ti porti la voce,
chi diede la vita ebbe in cambio una croce.

Ma tu non lo udisti e il tempo passava con le stagioni a passo di giava,
ed arrivasti a varcar la frontiera in un bel giorno di primavera.

E mentre marciavi con l'anima in spalle, vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore,ma la divisa di un altro colore.

Sparagli Piero, sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora,
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue.

E se gli sparo in fronte o nel cuore soltanto il tempo avrà per morire,
ma il tempo a me resterà per vedere,
vedere gli occhi di un uomo che muore.

E mentre gli usi questa premura quello si volta, ti vede e ha paura
ed imbracciata l'artiglieria non ti ricambia la cortesia.

Cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato a chiedere perdono per ogni peccato.

Cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo mamento che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato ritorno.

Ninetta mia crepare di Maggio ci vuole tanto, troppo coraggio,
Ninetta bella, dritto all'inferno avrei preferito andarci d'inverno.

E mentre il grano ti stava a sentire, dentro alle mani stringevi un fucile,
dentro alla bocca stringevi parole troppo gelate per sciogliersi al sole.

Dormi sepolto in un campo di grano,
non é la rosa non é il tulipano che ti fan veglia dall'ombra dei fossi,
ma sono mille papaveri rossi.