domenica 29 aprile 2012

Dopo, con chi è rimasto ( da Q. di L. 54° )

     Gentile Signora Paola,

     il nostro proposito di ritrovarci non ha avuto la meglio sull'urgenza delle pratiche da sbrigare e sui nuovi impegni.  Ora che Flavia ha ripreso il lavoro e la giornata le riserva più tempo, spero possa concedermi qualche momento per godere della sua compagnia.

     In modo inusuale però, una lettera è persino indiscreta, non si annuncia, non bussa alla porta; le parole scritte si insinuano, non fanno rumore, possono essere accantonate, attendere oppure  essere rilette e non esigono risposta; permettono una pausa a chi legge, un ascolto più quieto di sé, del passato che noi stessi siamo, delle cose che ci riguardano.

     La nostra personale conoscenza è recente, ma ci ha uniti la condivisione di due storie della sua famiglia *, storie amate e sofferte e divenute comuni. Sento il bisogno di ringraziarla per il vissuto umano e spirituale che mi ha trasmesso, dirle grazie per l'accoglienza buona che mi ha sempre riservato.

     Quasi di sfuggita ho conosciuto Francesco (l'ho visto sorridere, è importante la verità del sorriso), eppure mi è ormai familiare per le parole discrete, i pochi accenni che lei mi ha partecipato nel tratteggiare una simpatia nata fin dall'adolescenza, poi il lavoro nei cantieri, il suo ritrovarsi con gli amici, le vostre peregrinazioni; poi l'affetto che lei e Flavia gli portavate.

     Mi sembra sia vissuto della vostra gioia, e penso che ogni vostro sorriso, fosse soltanto dell'animo, sia il regalo più bello che gli potete offrire.

     Vorrei che nel suo ricordare non vi fosse spazio per una immagine muta, piuttosto per una figura viva, forte, fiduciosa.

     Vorrei che qualcuno le si accostasse con delicatezza e, sommessamente, le ricordasse ciò che lei già conosce: che Francesco le ha voluto bene; no, anzi...che le vuole bene, perché questa è la nostra fede.

     A volte, appartati, ci soffermiamo..

     (continua)

     

martedì 10 aprile 2012

L'ascolto purificato (53° di Q. di L.)



(segue da 52°)

...e lo aiuta ad ascoltare se stesso.

    Ascolto non turbato neppure dalla distrazione che la persona stessa del malato può suscitare. L'aspetto sfigurato dalla malattia, le reazioni fisiologiche incontrollate, a volte l'ambito familiare problematico o l'assenza di un feeling spontaneo...Anche da questo l'ascolto vorrebbe liberarsi: operare nella necessità della concretezza contingente, e vedere e ascoltare ciò che il malato confida oltre le parole e i gesti.

   "Non ho mai fatto questi discorsi con nessuno, nemmeno prima".

   Il malato "si svela" al volontario e "insieme" costruisce il rapporto, perciò il "mio" ascolto appartiene anche al malato che mi parla. Allora non posso decidere da solo di una relazione che è "nostra", interromperla o trascurarla. Parole e ascolto e silenzi si confrontano, rimbalzano tra gli interlocutori, fino a scoprire il senso dello stare insieme, dell'accompagnare in attesa della morte.

   "Sei il solo amico che mi è rimasto".

   L'ascolto è il dono che il malato fa di sé, e tanto più egli si inoltra nei percorsi della sua vita, della sua paura, tanto più vincola il volontario e lo rende corresponsabile discreto del tempo che ancora rimane.

   Ascoltare in libertà e pudore, è sguardo e insieme occhi schivi, silenzio eppure è già risposta, è riservatezza, rispetto e abbraccio. E' strada camminata insieme passo passo fino al suo termine.        E' attenzione a cogliere la sfumatura accostandola al già recepito perché ne completi il senso e renda possibile quella risposta sempre amica, unica ed essenziale e sconosciuta al volontario stesso, testimone soltanto dell'essere ciò che è, con lui prossimo al mistero.

   La tensione all'ascolto del malato ha qualche affinità con la preghiera. La saggezza e la semplicità popolari dicono che " a pregare si impara pregando"; forse così accade anche nell'ascolto.

mercoledì 4 aprile 2012

L'ascolto purificato (52° do Q. di L.)

Non indugio sul senso attribuito convenzionalmente a termini ormai noti, usati correntemente in questo volontariato, come "ascolto", "accompagnamento"..

I corsi preparatori e i successivi incontri di revisione, illustrano al volontario le tante modalità con le quali il malato può esprimere tutto se stesso. Nella pratica poi, è subito chiaro che l'ascolto non si esaurisce in una audizione. Il bisogno del malato di dire ciò che ha dentro, la sua angoscia, la speranza, la fatica di continuare, le sue proteste, invocano la presenza di qualcuno che lo ascolti, ma che dia anche delle risposte. L'ascolto diventa sorgente di colloquio e di relazione, cioè è reciprocità: in questo si pone il seme dell'accompagnamento.

Nella casa del malato, gli argomenti comuni si alternano a discorsi di particolare delicatezza: ognuno di esse predispone, secondo la sua intensità, ad un ascolto differenziato.

Sento gratitudine per i malati che mi hanno accolto al loro fianco; rimane in me nel ricordo, un legame di affetto e il desiderio inappagato di non aver raggiunto a volte una comprensione maggiore.

Per questo, e forse anche a motivo della familiarità con la prassi, capisco che è bene per me una verifica, la ricerca di un ascolto più essenziale: sento il bisogno di purificare l'ascolto. "Puro", assumo l'aggettivo dal linguaggio scientifico, "assenza di ogni entità estranea, pur minima, che ne alteri la natura semplice".

L'ascolto esige dal volontario di prescindere da tutto ciò che lo riguarda a titolo personale, per giungere ad una disponibilità esclusiva, non turbata da altro. Questa libertà permette di creare uno spazio interiore quieto, rispettoso, che invita il malato a raccontarsi fin dove e come vuole e lo aiuta ad ascoltare se stesso.

(continua)