martedì 10 aprile 2012
L'ascolto purificato (53° di Q. di L.)
(segue da 52°)
...e lo aiuta ad ascoltare se stesso.
Ascolto non turbato neppure dalla distrazione che la persona stessa del malato può suscitare. L'aspetto sfigurato dalla malattia, le reazioni fisiologiche incontrollate, a volte l'ambito familiare problematico o l'assenza di un feeling spontaneo...Anche da questo l'ascolto vorrebbe liberarsi: operare nella necessità della concretezza contingente, e vedere e ascoltare ciò che il malato confida oltre le parole e i gesti.
"Non ho mai fatto questi discorsi con nessuno, nemmeno prima".
Il malato "si svela" al volontario e "insieme" costruisce il rapporto, perciò il "mio" ascolto appartiene anche al malato che mi parla. Allora non posso decidere da solo di una relazione che è "nostra", interromperla o trascurarla. Parole e ascolto e silenzi si confrontano, rimbalzano tra gli interlocutori, fino a scoprire il senso dello stare insieme, dell'accompagnare in attesa della morte.
"Sei il solo amico che mi è rimasto".
L'ascolto è il dono che il malato fa di sé, e tanto più egli si inoltra nei percorsi della sua vita, della sua paura, tanto più vincola il volontario e lo rende corresponsabile discreto del tempo che ancora rimane.
Ascoltare in libertà e pudore, è sguardo e insieme occhi schivi, silenzio eppure è già risposta, è riservatezza, rispetto e abbraccio. E' strada camminata insieme passo passo fino al suo termine. E' attenzione a cogliere la sfumatura accostandola al già recepito perché ne completi il senso e renda possibile quella risposta sempre amica, unica ed essenziale e sconosciuta al volontario stesso, testimone soltanto dell'essere ciò che è, con lui prossimo al mistero.
La tensione all'ascolto del malato ha qualche affinità con la preghiera. La saggezza e la semplicità popolari dicono che " a pregare si impara pregando"; forse così accade anche nell'ascolto.
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