giovedì 27 dicembre 2012

La relazione verso la fine ( 64° di Q.diL.)




       Riflessioni e appunti


       Una storia può essere raccontata in modi diversi. Qualcuno si sofferma a lungo sui "fatti " del passato, ne avverte l'importanza, pietre miliari nel suo cammino. Tuttavia, quando le considerazioni gravitano soltanto attorno agli eventi, si può presumere che il colloquio manterrà un livello di partecipazione "lieve".  Si inseguono appunto " i fatti ", più raramente si indugia sulle ragioni che interiormente li hanno determinati e ciò, in particolare se alle spalle vi è un vissuto sofferto, può generare disorientamento, un vuoto di senso.

       Al volontario si presenta l'opportunità di distogliere temporaneamente l'attenzione del malato dagli eventi, per occuparsi della sua stessa persona nel presente e tentare, in una visione più ampia, di darsi ragione dello stato di disagio in cui ora si trova. Questo orientamento può essere favorito condividendo col malato qualche comune riflessione: la vita può forse essere contenuta nella semplice somma di avvenimenti, atti "buoni" o "cattivi", compiuti o subiti?  E' possibile ignorare la complessità esistenziale in cui essa si è svolta ( cultura, passioni, interessi, ideologie, precarietà, ambizioni, fede, limiti, ambiente..)?  Che cosa ho chiesto alla vita, quale importanza hanno gli altri, perché manca il coraggio di fare chiarezza, perché questo bisogno di libertà? E' davvero impossibile scorgere un aspetto positivo che susciti almeno un velo di consolazione, una speranza di bene?  Vicino alla fine, riscoprire chi siamo stati, soprattutto quello che siamo ora, tentare di comprendere il "vero" significato della nostra vita passata e attuale, sembra premere quanto il pensiero della morte. E' importante osservare il modo in cui il malato attualizza ed esprime la sua storia, e conoscere se le conseguenze del passato trovano ancora riscontro nella realtà attuale.
 
       Il malato può intravedere che... ( segue )

domenica 2 dicembre 2012

Santa Messa all' Hospice (63° di Q. di L.)


       Un pensiero anche ai malati che ci hanno lasciato, coi quali abbiamo condiviso il tempo dell'ultima prova, pur mancando la comunione della Fede.

       Vorremmo che nessuno dei presenti, fra noi in amicizia, si sentisse estraneo all'abbraccio  spirituale di questa comunità che prega e tiene tuttavia sempre vivo il rispetto delle convinzioni di ciascuno.

       Siamo uniti a tutti, e chiediamo di essere da tutti accolti e amati.   

      Oltre ogni credo e ideologia, al di là di ogni prova vissuta, abbiamo conosciuto insieme che l'unica strada aperta alla pace è l'amore.

       Perché il Signore ci accompagni in questo cammino      PREGHIAMO





giovedì 15 novembre 2012

L'età




    
       In silenzio, ascolto.
 
       " Non è l'essere vecchio o recente che definisce il nuovo, é lo stare nascendo ". (*)

       Pensiero lontano dallo stereotipo dei commenti banali sell'età. Nessuno sconto, a nessuno né vecchi né giovani. Non l'essere nati prima o dopo....neppure l'essere nati, ma "lo stare nascendo". Esistenza mai compiuta, il persistere "verso", lo stupore, occhi e cuore a contemplare il nuovo, la verità, fino ad acconsentire di essere assunti nell'amore partecipi dell'Amore.

       La fede nella persona di Gesù, l'uomo nella sua dimensione umana e divina.

(*)  Maurice Bellet in "Il corpo alla prova"

sabato 3 novembre 2012

L'Hospice del Trivulzio ( 62° di Q. di L.)




       ( Segue da 61° )


       ..." Ti credo Signore, Dio della vita ".

       Oggi una malata parla con la volontaria e a sorpresa abbandona il filo del discorso, " vede le rondini entrare nella stanza" e le chiede di chiudere la finestra. La finestra è stata chiusa, ora il colloquio può riprendere. Allucinazioni, immagini attinte forse da ricordi o dal proprio mondo interiore. "I muli neri cattivi della Calabria" ,  "L'auto parcheggiata sul tetto della casa di fronte"... a posteriori possono suscitare ilarità ma nel loro accadere procurano pena, anche in chi assiste, a volte turbamento: resta lo stupore, il significato nascosto di ciò che è accaduto. Una persona parla con te affabilmente e d'improvviso si isola in una realtà "altrove", che lei sola conosce e vede, assenza di qualche attimo, poi "rientra"; ma in questo breve stacco di tempo puoi scorgere in quegli occhi illusi, nell'espressione del volto un filo della sua morte. E' annuncio di scadenza, nessuna data cera. Forse qualcosa ti riguarda, puoi sentirti scosso: il "tuo" malato sa parlarti di te.

       Scegliere di stare accanto a chi è "terminale" e di chi a lui è legato, significa essere disponibile a mettersi in discussione ogni volta e ogni volta nell'immediatezza a "dimenticarsi di sé";  è anelito ad ascoltare l'altro nella sua stessa presenza, a comunicargli con le parole o forse soltanto con lo sguardo la quiete e la speranza che hai dentro.

domenica 21 ottobre 2012

L'Hospice del Trivulzio (61° di Q. di L.)






       L'esperienza del volontariato domiciliare che lascio alle spalle, mi ha creato qualche problema nell'accettare ciò che l'Hospice offre a un volontario; il pensiero e l'affetto sono fissi all'intensità e all'unicità del rapporto che intercorreva col malato, con la famiglia quando li incontravo nella loro casa. Il consiglio di molti nei momenti di perplessità, è stato di prolungare la mia permanenza in Hospice prima di deciderne l'adesione o l'abbandono, e così ho fatto.

       Durante il turno dei miei primi servizi chiedo a Giusi, volontaria giovane e esperta che mi accompagna, "in modo sintetico, che cos'è per te l'Hospice?". La domanda è inattesa, qualche attimo di concentrazione, poi sicura "E' accoglienza". Ho provato un senso di smarrimento, " un po' poco "
mi dicevo, con tutti i dubbi che mi portavo appresso, e tuttavia sono rimasto con la curiosità di scoprire ciò che non conoscevo, e che gli altri avevano già trovato. "L'Hospice del volontario" lo capisci un po' alla volta.

       Ora, con più quiete e con gratitudine, la mente torna alla risposta di Giusi: concisa, essenziale, più semplice e più bella non la so pensare, in una parola la ricchezza che molte insieme forse non sanno dire.

       Spaziose le stanze, gli spazi comuni, terrazzi ampi, vetrate; l'interno tinteggiato a colori pastello chiaro, bianchi i soffitti e le porte. La leggerezza e la luminosità dell'ambiente aprono alla serenità familiare che il personale e i volontari comunicano sin dalla prima accoglienza.

       Con semplicità non casuale, tutto è predisposto ad ospitare il malato terminale e la persona che lo accompagna: qui la malattia viene accolta sino al suo epilogo.

       Hospice è accogliere, prendersi cura, accompagnare, condivisione discreta e affettuosa di fronte ai mutamenti che avvengono nel tempo residuo della vita. L'ospite sa che tutti lo guardano con simpatia, nessuno stupore per i suoi limiti, tutti in sincerità lo stimano per l'uomo che è, disponibili a condividere con lui la condizione umiliante del proprio corpo malato. Per il volontario è invito a rimanere al proprio posto: nell'umiltà dell'accompagnamento, la speranza di scorgere, ascoltare nello sguardo dell'altro l'eco di un bene scambiato, di un sorriso che non ha ferito.

       In ogni stanza un uomo, una donna sono in attesa, ognuno di ciò che spera o non sa, o a volte già conosce. Non importa il censo, l'età, la mediocrità o l'eccellenza; non c'è distinzione. Ogni malato restituisce alla vita un poco di sé: un po' del suo camminare, della sua voce, dell'aspetto bello di quando era sano, un po' della sua memoria o della sua consapevolezza; ogni giorno un poco si sé. La patologia si aggrava, si aggrava ancora. Senza rumore, i volti di una umanità sofferente che passa. Dalle vetrate vedo la mia città, operosa, che non si ferma, ma chi è nel lutto, se vuole, può accogliere la vicinanza discreta, il calore umano, solidale dei volontari come segno forte, positivo in un momento difficile della vita, forse di una vita che cambia.

       Qualcuno prega, non soltanto per sé. " Ti credo Signore, Dio della vita ".

       ( segue )

Dall'assistenza domiciliare all'Hospice (60° di Q. di L.)

  
                                         ( Schema di un percorso interiore )



       Inizio manifestando la mia gratitudine a colleghe e colleghi del Trivulzio e a Lucia Floridia (nostra consulente psicologa) per la cordialità con cui mi hanno accolto e l'aiuto che mi hanno prestato nelle difficoltà personali incontrate.

       Il mio primo impatto con la vita dell'Hospice è disorientante, mi da un senso di spaesamento, di estraneità all'ambiente, non intravedo possibilità di instaurare una relazione col malato. Mi trovo inserito in una attività di gruppo, abituato da sempre, anche nella vita professionale, a iniziative e decisioni autonome.

       L'appartenenza al volontariato domiciliare predispone a un determinato stile di relazione con il malato e la famiglia, non ripetibile nell'ambito dell'Hospice ( informazione preventiva della patologia, conoscenza del caso nel suo aspetto familiare, economico, culturale...relazione di volontario unico e unico referente per l'intero periodo della malattia) . Il disagio psicologico, le nuove modalità operative, i tempi obbligati e ristretti di permanenza degli ospiti (e dalla relazione), mi spingono a confrontare l'esperienza maturata con la novità di un mondo che non conosco, dunque alla verifica della mia eventuale partecipazione a questo tipo di volontariato e alla ricerca di senso.

       La riflessione mi chiarisce presto che è indispensabile raggiungere innanzi tutto una posizione interiore di maggior libertà, operare un netto distacco psicologico e affettivo dalle modalità di approccio e di accompagnamento a me familiari, e in generale dagli schemi mentali assunti negli anni precedenti. Col tempo affiora qualche chiarificazione.

       Dopo oltre 12 anni di "domiciliare" è necessaria l'umiltà di fare silenzio in me stesso su ciò che ho appreso, accantonare non cancellare, rinunciare liberamente a una mentalità acquisita e collaudata, per conoscerne una nuova, quella che vedo attuata dai colleghi, anche se ancora non riesco a possederla nel suo valore intimo.

       "Arroccato" nella mia storia di volontario e nel mio modo personale di pensare il rapporto col malato, raggiungo l'obiettività dell'evidenza soltanto a posteriori.

       Il volontario domiciliare configura la propria attività nell'accompagnamento "totale" , nel senso che questo si protrae dal primo incontro lungo tutto il percorso della malattia sino alla fine. In Hospice il volontario inizia il rapporto con l'uomo già prossimo all'estrema conclusione della vita, nessun retroterra di conoscenza, di familiarità con l'ospite malato, il quale non può che presentarsi in Hospice come ospite sconosciuto, seguendo la trafila burocratica del ricovero.

       Da tutto ciò discende lo stile proprio dell'Hospice nell'accompagnamento del malato e dei familiari. Dunque una mentalità, una capacità di accoglienza, un'apertura psicologica, una spiritualità nuove.

       Potrei parlare del "rito" del the, del servizio ai pasti, di un colloquio o semplicemente di un cenno di saluto, di un sorriso..ma mi pare che tutto già si trovi nelle poche parole che ho scritto.

venerdì 14 settembre 2012

Tempo scaduto, tempo che continua (59° di Q. di L.)

              

       ( segue )

   
       Il "mio" passato da volontario...


       E' un passato al quale sono riconoscente, cui porto affetto.
 
       Un passato che non mi inchioda al passato. Un passato che mi è entrato dentro, che provoca un senso di apertura, di amore scambiato. Un passato che mi fa prossimo anche a chi non conosco, che mi instilla quiete nell'agire.

       Un passato che ama il presente mentre sopravviene, e il presente successivo e quello successivo ancora; un modo, vicino al malato, di pensare il futuro, perché questo passato non cessa di additare il futuro.

       Un passato che lascia distinte e fonde insieme le realtà materiali e spirituali che vivo: quelle che vedo e tocco e quella, cui già appartengo...che per ora non vedo e non tocco.


       Qui gratuitamente mi hanno portato i volti, il dolore, l'amore dei miei malati; ora però il dolore è acqua sulla sabbia. Nell'animo, come un dono, custodisco la consolazione del bene condiviso e la speranza.


       Tutto è avvenuto nel quotidiano, evidente e misterioso ogni volta, come tutto il tempo del Signore.


       

       






      

martedì 4 settembre 2012

Card. CARLO MARIA MARTINI





       Si conoscevano la gravità e l'imminenza, tuttavia ci si sente fragili al colpo.
     
       Le 15,45 di venerdì 31 agosto. Nell'annuncio persino la presenza di un orario mi impressiona: l'attimo nascosto a tutti finchè non sia superato. Può sembrare banale perché "ogni cosa ha un suo orario", ma qui si è concluso il viaggio - un po' anche mio - e immediatamente si alza il grande silenzio.

       Subito il dolore di un popolo, oltre la Diocesi e l'Italia, l'affetto - tanto affetto - e riconoscenza e apprezzamento di tutti, con qualche rara voce diversiva.

       Mi resta il silenzio e la compagnia delle parole di Martini - che accolgo con impegno pur nei limiti della mia preparazione - rivolte alla Chiesa e ad ognuno di noi, dunque anche a me personalmente:  contemplazione  e  responsabilità.

       Hanno parlato il silenzio e l'abbraccio del popolo dei credenti e dei non credenti.

       Mi preme ora che tanto plauso trovi rispondenza concreta nella vita della Chiesa e che si attui il "sogno" profetico meditato e pregato dal Cardinale Martini.



NB.                    Alcuni stralci dal Corriere della Sera di domenica  2 settembre 2012


-      "Pregherei Gesù di inviarmi angeli, santi o amici che mi tengano la mano e mi aiutino a superare la mia paura"  (riflessione sull'agonia)

-      "Tutta la vita cristiana è una lotta interiore e continua col mistero del male" e "col passare degli anni diventa ancora più drammatica, più forte, perché tocca le cose ultime della vita"

-      "..Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle uscite di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio"

-      "L'importante è che impariate a pensare, a inquietarvi"

-      "La Chiesa è stanca nell'Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata...i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador"

-      "Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali"

-      "..la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un'autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?"

-      "Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all'interiorità dell'uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti. Per chi sono i sacramenti? Questi sono il terzo strumento di guarigione. I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nel momento del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano di una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati e alle copie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. ...L'atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determinerà l'avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli.  ...Se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderà la generazione futura"

-      La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa.
... .......Dio è amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?"

-      "C'è in noi un ateo potenziale che grida e sussurra ogni giorno le sue difficoltà a credere"

-      "Le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona"

-      ..E che il neurologo del Cardinale abbia voluto annunciare pubblicamente che è stata fatta la sua volontà suona come un ultimo messaggio dell'Arcivescovo emerito di Milano. Niente accanimento, dunque niente sondino, niente  peg o alimentazione forzata, visto che da quindici giorni non poteva più deglutire per l'evoluzione terminale del morbo di Parkinson, la stessa malattia di Giovanni Paolo II. Quel sondino, quell'alimentazione forzata che era sta il punto più controverso del disegno di legge sul testamento biologico.

-      "Vorrei essere parte di una Chiesa che si indigna e combatte a fianco dei poveri e dei diseredati, che striglia i potenti della Terra quando si riempiono la bocca di Dio e sono così lontani nel loro operato"

-      "Oggi la negazione della verità assume spesso la figura dell'omissione voluta o colpevole, condizionata dalla paura o dall'interesse,o anche dalla paciosità: mi guardi il Signore da queste trappole"

sabato 25 agosto 2012

Tempo scaduto, tempo che continua (58° di Q. di L.)





       Nuovi modelli socio-economici si impongono, spesso soppiantano quelli in atto e modificano le nostre consuetudini.

       Anche l'assistenza sanitaria domiciliare ai malati terminali oncologigi si veste silenziosamente di un nuovo stile. La realizzazione di centri di accoglienza pubblici e privati, lo stesso progresso scientifico e persino il fenomeno dell'immigrazione concorrono ad accelerarne il cambiamento. Gli Hospice, ormai numerosi, risolvono assistenze domiciliari a volte insostenibili per le famiglie; le nuove terapie consentono autonomia prolungata  nella sfera del privato e dei rapporti sociali, e abbreviano di fatto il tempo della terminalità, ed infine la colf offre un aiuto ormai diffuso, particolarmente in presenza di malati inguaribili. Ad altri considerare il problema della politica, della grande economia e degli ospedali pubblici divenuti " azienda".

       Fra il personale operativo interessato a queste innovazioni non vi è figura assimilabile a quella del volontario, è altro il suo ruolo, ma l'orizzonte dell'assistenza è mutato e vissuto in una dimensione consona alle esigenze e ai limiti che la situazione attuale impone. Per il volontario il tempo dell'accompagnamento domiciliare probabilmente si va esaurendo. Rimane tuttavia una separazione sofferta: scompare il rapporto profondo malato-famiglia-volontario (che della famiglia spesso viene a farne parte); il ritrovarsi, il reciproco abbraccio di una umanità che si riconosce nell'altro, solidale e fedele nello sgomento della malattia, nella sofferenza,nella speranza.

       "Accompagnare" da sempre una strada camminata insieme, abbandonata unicamente perché si è "arrivati", per imboccarne una nuova, sconosciuta. Come ora, in modo inatteso. Il passato è tempo concluso, sigillato, ma non disperso, mi appartiene

       Il "mio" passato da volontario...

( continua )

venerdì 15 giugno 2012

Città di mare

    

          Giornata azzurra di rondini nella brezza che sale dal mare, appena qui sotto la Fontana Aretusa.

         C' è sempre gente in piazza Duomo ma quest'ora è di quiete, qualche turista dall'aria soddisfatta, il gelato, una persona ferma aggrappata al cellulare gesticola, un passo avanti, retrocede; se ne va.

          Alla mia sinistra il giallo dei limoni nel filare di alberi lungo il muro di cinta del seminario.

          A fianco la discesa alla Fontana: ecco la chiesa meravigliosa. Il frontale alto più del fabbricato che lo sostiene, la porzione elevata sovrasta come vela, immobile, non inutile, messo lì per farsi guardare. Tutto bianco nel candore della pietra scolpita, toccato di striscio dal sole. Luminosità tenue di tramonto, si risvegliano le ombre del marmo ricco di lavoro antico di arte, di fantasia, anche là in alto dove la "vela" culmina con due enormi buchi quadri: sono le finestre di cielo della Chiesa di Santa Lucia alle quaglie.

          Mute e insondabili. Linee nitide, immobili, racchiudono soltanto azzurro, intelligenza, bellezza, e impongono il loro bisogno di esistere, la loro lontananza e il loro silenzio, abitate da ciò che non si vede.

          Guardo il cielo così vasto sopra la piazza del Duomo e il cielo nelle finestre; colore uguale ma torno a quei varchi ..là il cielo è profondo sino a non finire. Quelle finestre, là in alto... non si chiudono mai, soltanto azzurro.

          Faticoso andarmene; mi avvio, rallento il passo. Mi volto.

          Ciao Siracusa, grazie. E grazie  Elena.

          Domani il ritorno. Sul muro della stanza che ci ospita, pennello fine, bella grafia in colore ocra
                      
                                     "  Sintii  lu  cantu  di  lu  rusignolu
                                                                ca  duci  spargìa  di  pratu  in  pratu  "

martedì 12 giugno 2012

Capisco che dovrei ripartire (57° di Q. di L.)






( segue da 56° )


          Poi un richiamo al Vangelo, Pietro che dice a Gesù "...allontanati da me perché sono peccatore ".   E' lunga questa frase, scava la vita nel profondo, anche per Pietro forse il desiderio di ripartire. Gesù lo ascolta, non modifica le sue parole, non lo rimprovera, non lo assolve, l'amore ha fretta di abbracciare e Gesù ci sorprende: lo accoglie così com'è, così come siamo, noi e le nostre cose, la barca vuota, e ci restituisce la fiducia che non sappiamo più ritrovare in noi stessi, perché Lui è la nostra fiducia..." E lo seguì ", senza sapere dove sarebbe andato. Irragionevole, solo per chi non sa che seguire Gesù è già essere arrivati.

          Questi pensieri mi sono usciti dall'animo, ma non so ora con quali parole, era un rimbalzare di espressioni e di sguardi. So che a tratti, nel parlarci e nell'ascoltarci, ci siamo ritrovati a godere insieme  dello stesso sorriso.

          Ci si doveva salutare, non sapevamo deciderci.  Ci siamo ringraziati, le mani che non volevano lasciarsi.

          Ciao Adriano, una carezza e un bacio.

venerdì 1 giugno 2012

Capisco che dovrei ripartire (56° di Q. di L.)

     


          Mi dice "Si, va bene" e lascia in sospeso un "ma", isolato, che non chiude. " Non è tanto la malattia, o forse sì, anche, ma è tutto l'insieme che non riesco a capire, stare in questo modo, perché tutto quanto mi sta intorno così, che cosa succede. "

          " Domande essenziali Adriano, difficili, una risposta soltanto razionale forse non c'è, e tuttavia potrebbe essere bello parlarne, ma apertamente, senza nascondersi come spesso avviene per discrezione, per non invadere la sfera privata dell'altro, e ci si blocca. Una riservatezza rispettosa, certo, che però ci priva del confronto e del sostegno di intrattenerci reciprocamente su situazioni che sono comuni. "

          Mi fissa serio; era altro lo sguardo quando ci siamo conosciuti; il sorriso costante, indecifrabile, dissuasore di ogni tentativo di fare breccia. Mi riprende, "No, invece dobbiamo parlarci, ascoltarci senza timore di offenderci. Parliamone." La voce è calma, la parola scandita.

          E' più che un invito. L'uomo, quando si vede sospinto al limite, se pone domande attende anche risposte; non eludenti, non intellettuali, non teorie; l'uomo ha bisogno di ascoltare l'uomo, la mia persona lì con lui, non tanto ciò che dirò, ma ciò che io sono nelle mie scelte definitive. Ho intuito tardi la domanda, sapessi farlo gli chiederei perdono. Sì prudenza, ma bisogna avere anche il coraggio di parlare, parlare quieti, con semplicità, per quello che si è e si crede, e ancora, non aver paura poi del proprio coraggio.

          Mi dice " Capisco che dovrei ripartire, ma non so da dove, da quale parte cominciare ".

          " No, perché ripartire, da dove e per dove? Adriano noi possiamo soltanto continuare ed è bello, è prezioso ciò che siamo, anche nella povertà della nostra persona, nel nostro essere qui adesso in questa stanza; nel nostro parlarci è presente tutta la nostra vita. C'è quello che siamo stati, i successi, le sconfitte, il meglio che vorremmo essere e che non sappiamo neppure immaginare; le relazioni con gli altri, gli abbracci e le incomprensioni e il ritrovarci ancora con tutti, nel cuore oggi nessuno è assente. "

          Poi un richiamo al Vangelo, ...
( continua )

domenica 20 maggio 2012

Credere e conoscere ( Einaudi 2012)



         (Da  "Il pensiero della settimana"  di Piero Stefani)

        Credere e conoscere  è il titolo di un recente libretto che contiene un colloquio tra Carlo Maria Martini e Ignazio Marino. Esso termina con alcune affermazioni dedicate al ruolo dell'etica rispetto alla Chiesa. Sostengono congiuntamente i due autori (ma lo spirito di queste righe è evidentemente proprio del Cardinal Martini)

........"non vorremmo che qualcuno ricavasse da questo dialogo un'impressione sbagliata.  E sbagliata sarebbe l'impressione che alla Chiesa interessi sostanzialmente la questione etica, che l'etica sia l'essenza del suo messaggio, mentre la Chiesa ha come suo scopo predicare il Vangelo.  Senza di esso sarebbero vani tutti i suoi sforzi per formulare prescrizioni etiche corrette.  La Chiesa non ha il compito di far crescere il senso etico nella gente, anche se esso la riguarda da vicino. Il compito della Chiesa è molto più ampio, far risplendere il Vangelo, che è perdono, misericordia, e capacità di perdonare agli altri:  - ..Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi- (Mt. 5,14)-  Al di fuori di questa prospettiva non si comprende come l'etica interessi la Chiesa."

giovedì 10 maggio 2012

Dopo, con chi è rimasto ( 55° di Q. di L. )

( segue da 54°)


       A volte, appartati, ci soffermiamo a contemplare il passato, compiaciuti, poi attoniti, poi addolorati quasi increduli; molte domande dentro di noi, risposte poche e incompiute, a volte neppure accennate.

       La nostra è un'età da prendere sul serio, con impegno, tempo di grande maturità, di accoglienza del mistero, di riconciliazione con la vita; se il Signore lo concede testimonianza cristiana non esibita, semplice e credibile. Francesco le riserva un aiuto concreto, un ricordo di pace e di benedizione.

       Nell'età e nella preghiera che ci uniscono, continuiamo ad abbracciare e a lasciarci abbracciare dalla vita, nostra e soprattutto degli altri, dalle loro gioie,  dai loro bisogni, dalle attese e anche dai loro lutti: perché gli eventi chiudono il tempo, non spengono la vita, non l'amore che dà senso alle cose minime, alle volte all'apparente inutilità del quotidiano.

       Parole che scambio soltanto con chi non si scandalizza e non ride del Vangelo. Anche di questo vi sono grato.

       Continuo nel proposito di "accompagnare" i malati terminali (meglio, ne sono accompagnato), finché il Signore lo permette, così avremo meno occasioni di incontro; vorrei dirle però che i nuovi impegni non cancellano il vincolo di bene e il ricordo.

       Scusi se inavvertitamente ho usato un tono forse troppo familiare, per di più in modo sgrammaticato alternando singolare e plurale, è l'urgenza di dire ciò che mi sta dentro: ho scritto a lei, ma non potevo dimenticare Flavia.

       Qualcuno mi ha regalato una penna. Pennino, calamaio. Bellissimi, simbolo alto di pensiero e di storia, certamente troppo alto per me, ma anche provocazione, sfida a scrivere.

       Qualcuno, ora sopporta le mie parole...spero col cuore aperto al sorriso.

       Con affetto un saluto caro a lei e a Flavia.

* Famiglia già provata da improvviso, gravissimo lutto.

domenica 29 aprile 2012

Dopo, con chi è rimasto ( da Q. di L. 54° )

     Gentile Signora Paola,

     il nostro proposito di ritrovarci non ha avuto la meglio sull'urgenza delle pratiche da sbrigare e sui nuovi impegni.  Ora che Flavia ha ripreso il lavoro e la giornata le riserva più tempo, spero possa concedermi qualche momento per godere della sua compagnia.

     In modo inusuale però, una lettera è persino indiscreta, non si annuncia, non bussa alla porta; le parole scritte si insinuano, non fanno rumore, possono essere accantonate, attendere oppure  essere rilette e non esigono risposta; permettono una pausa a chi legge, un ascolto più quieto di sé, del passato che noi stessi siamo, delle cose che ci riguardano.

     La nostra personale conoscenza è recente, ma ci ha uniti la condivisione di due storie della sua famiglia *, storie amate e sofferte e divenute comuni. Sento il bisogno di ringraziarla per il vissuto umano e spirituale che mi ha trasmesso, dirle grazie per l'accoglienza buona che mi ha sempre riservato.

     Quasi di sfuggita ho conosciuto Francesco (l'ho visto sorridere, è importante la verità del sorriso), eppure mi è ormai familiare per le parole discrete, i pochi accenni che lei mi ha partecipato nel tratteggiare una simpatia nata fin dall'adolescenza, poi il lavoro nei cantieri, il suo ritrovarsi con gli amici, le vostre peregrinazioni; poi l'affetto che lei e Flavia gli portavate.

     Mi sembra sia vissuto della vostra gioia, e penso che ogni vostro sorriso, fosse soltanto dell'animo, sia il regalo più bello che gli potete offrire.

     Vorrei che nel suo ricordare non vi fosse spazio per una immagine muta, piuttosto per una figura viva, forte, fiduciosa.

     Vorrei che qualcuno le si accostasse con delicatezza e, sommessamente, le ricordasse ciò che lei già conosce: che Francesco le ha voluto bene; no, anzi...che le vuole bene, perché questa è la nostra fede.

     A volte, appartati, ci soffermiamo..

     (continua)

     

martedì 10 aprile 2012

L'ascolto purificato (53° di Q. di L.)



(segue da 52°)

...e lo aiuta ad ascoltare se stesso.

    Ascolto non turbato neppure dalla distrazione che la persona stessa del malato può suscitare. L'aspetto sfigurato dalla malattia, le reazioni fisiologiche incontrollate, a volte l'ambito familiare problematico o l'assenza di un feeling spontaneo...Anche da questo l'ascolto vorrebbe liberarsi: operare nella necessità della concretezza contingente, e vedere e ascoltare ciò che il malato confida oltre le parole e i gesti.

   "Non ho mai fatto questi discorsi con nessuno, nemmeno prima".

   Il malato "si svela" al volontario e "insieme" costruisce il rapporto, perciò il "mio" ascolto appartiene anche al malato che mi parla. Allora non posso decidere da solo di una relazione che è "nostra", interromperla o trascurarla. Parole e ascolto e silenzi si confrontano, rimbalzano tra gli interlocutori, fino a scoprire il senso dello stare insieme, dell'accompagnare in attesa della morte.

   "Sei il solo amico che mi è rimasto".

   L'ascolto è il dono che il malato fa di sé, e tanto più egli si inoltra nei percorsi della sua vita, della sua paura, tanto più vincola il volontario e lo rende corresponsabile discreto del tempo che ancora rimane.

   Ascoltare in libertà e pudore, è sguardo e insieme occhi schivi, silenzio eppure è già risposta, è riservatezza, rispetto e abbraccio. E' strada camminata insieme passo passo fino al suo termine.        E' attenzione a cogliere la sfumatura accostandola al già recepito perché ne completi il senso e renda possibile quella risposta sempre amica, unica ed essenziale e sconosciuta al volontario stesso, testimone soltanto dell'essere ciò che è, con lui prossimo al mistero.

   La tensione all'ascolto del malato ha qualche affinità con la preghiera. La saggezza e la semplicità popolari dicono che " a pregare si impara pregando"; forse così accade anche nell'ascolto.

mercoledì 4 aprile 2012

L'ascolto purificato (52° do Q. di L.)

Non indugio sul senso attribuito convenzionalmente a termini ormai noti, usati correntemente in questo volontariato, come "ascolto", "accompagnamento"..

I corsi preparatori e i successivi incontri di revisione, illustrano al volontario le tante modalità con le quali il malato può esprimere tutto se stesso. Nella pratica poi, è subito chiaro che l'ascolto non si esaurisce in una audizione. Il bisogno del malato di dire ciò che ha dentro, la sua angoscia, la speranza, la fatica di continuare, le sue proteste, invocano la presenza di qualcuno che lo ascolti, ma che dia anche delle risposte. L'ascolto diventa sorgente di colloquio e di relazione, cioè è reciprocità: in questo si pone il seme dell'accompagnamento.

Nella casa del malato, gli argomenti comuni si alternano a discorsi di particolare delicatezza: ognuno di esse predispone, secondo la sua intensità, ad un ascolto differenziato.

Sento gratitudine per i malati che mi hanno accolto al loro fianco; rimane in me nel ricordo, un legame di affetto e il desiderio inappagato di non aver raggiunto a volte una comprensione maggiore.

Per questo, e forse anche a motivo della familiarità con la prassi, capisco che è bene per me una verifica, la ricerca di un ascolto più essenziale: sento il bisogno di purificare l'ascolto. "Puro", assumo l'aggettivo dal linguaggio scientifico, "assenza di ogni entità estranea, pur minima, che ne alteri la natura semplice".

L'ascolto esige dal volontario di prescindere da tutto ciò che lo riguarda a titolo personale, per giungere ad una disponibilità esclusiva, non turbata da altro. Questa libertà permette di creare uno spazio interiore quieto, rispettoso, che invita il malato a raccontarsi fin dove e come vuole e lo aiuta ad ascoltare se stesso.

(continua)

martedì 20 marzo 2012

Lasciarsi accompagnare dal tempo

Dall'alto dell'autostrada si vede il mare, Taggia al tramonto, ora arrivo.

Box interrati. Cancello elettrico a metà di una rampa scoscesa.

Elena provvede ad aprire, accende le luci, scendo in retromarcia. Improvvisamente la voce "si chiude, si chiude !" Freno a mano, ingrano per risalire ma lo specchietto è già pizzicato dalle sbarre del cancello, sterzo per allontanarmi, è peggio. Un crash non roboante ma da farti rabbrividire, mille piccolissimi aghi mi stanno tutti addosso dentro la schiena, in testa...

Macchina ferma esco, si ascolta il silenzio. Con Elena ci guardiamo, e guardiamo la macchina. Perché il cancello si è chiuso prima del solito? Siamo attoniti, disarmati, eppure qualcosa abbiamo sbagliato. Ancora un po' eccitati a sera ci ritroviamo sotto tono ma io anche un po' deluso.

Macchina di sei anni, ogni volta che la guardavo era bella, diceva anche il mio modo di aver cura delle cose, di sentirmele mie, ne ero quasi orgoglioso, insomma una cosa la sua storia e la mia (un po' velata).

Oggi l'ho ritirata dal carrozziere, via le strisciature grosse, nuovo il vetro dello specchietto...come l'ho vista m'è tornato il sorriso. Mi sono complimentato col carrozziere, "Beh ! Sa, lo specchietto l'ho riparato e funziona,.. naturalmente non è perfetta come prima..".

Poi l'impensabile. Le ultime parole mi calamitano, mi fanno subito sentire più libero, leggero, improvvisamente mi accorgo che riguardano me più che la macchina, sono contento di riaverla così. "..non è perfetta come prima", anche lei ora ha qualche ruga, eppure è bella e cara come sempre. E' caduto un piccolo mito, forse non l'avvertivo del tutto, quello dell' "auto perfetta", chissà...forse non solo dell'auto.

Passeggiando col tempo che passa, discorrendo con lui di quel che succede, anche alla mia età...può accadere di essere accompagnato a compiere un passo nuovo.

martedì 28 febbraio 2012

L'addio agli amici (51° di Q. di L.)

Chiesa illuminata dalle finestre alte. E' primo pomeriggio, oggi quasi novità di primavera. L'altare, candele accese, ombre appena accennate, tutto è nitido e vicino in questa luminosità soffusa.


Sono solo. Anzi, no; un prete cammina a passi lenti, felpati; in preghiera fa più sacro il silenzio. Mancano dieci minuti.

Ora la bara è all'altare. La moglie, i familiari, le persone che attendevano sul sagrato sono entrati, hanno riempito le panche della prima metà della chiesa. Qualcuno, sparso, nella seconda metà. Molti lasciano il posto e si avvicinano alla vedova: chi un abbraccio, un bacio, chi una parola, poi tornano. L'invito del parroco ad aprire il libretto cade nel vuoto e così avviene nei dialoghi della liturgia. Non vedo volti, solo le spalle, la nuca di donne e uomini impietriti. Forse di messa se ne intendono poco, ma molti, molti conoscevano lui !

" Negli anni della sua malattia, nei suoi ultimi mesi tremendi, dove eravate, perché siete fuggiti ? Non chiedetemi di lui quando mi ha detto - sei il solo amico che mi è rimasto -, non del silenzio che ne è seguito. Non so esprimere a voi, amici, l'intensità della richiesta e dell'offerta di amore di un uomo alla fine, della sua capacità inconsapevole di aiutarci a fare chiarezza nella nostra solitudine. Ho amarezza per la società che noi siamo, sani, allegri, e indifferenti al desiderio di amarci, o forse incapaci o timorosi di vederci riflessi nell'altro. Nessun dito puntato, neppure il malato lo ha fatto. Soltanto interrogativi che interpellano noi tutti, spunti su cui riflettere. "

All'uscita il flusso dei "fedeli" incespica in chi vuole accostarsi alla vedova: molti, molti, chi un abbraccio, un bacio, chi una parola.

Tornano le mamme sul sagrato, le nonne ai muretti delle aiuole, le carrozzine, i giochi dei bimbi. Tutto normale, le regole sono rispettate; e io incapace di gridare "L'Annuncio".

domenica 12 febbraio 2012

Rincorrere il tempo ?

Il senso cambia secondo la voce o lo sguardo di chi ti parla.

Network, stampa, discorsi comuni oggi fanno emergere la tensione del vivere, la preoccupazione di non farcela, si è sempre in ritardo, impegni, scadenze..., per molti anche il nulla che accade nell'attesa di ciò che è più necessario, è ansia, è rincorrere il tempo.

Questa inquietudine assilla, modifica le ore scandite dal giorno e dalla notte e il nostro modo di essere e di guardare il mondo; ci toglie il presente, c'è sempre un motivo per rincorrere il tempo.

Ma quanto rimane del "mio" tempo ?

Non offro soluzioni, mi chiedo soltanto se sia possibile trascendere questa situazione malata, riappropriarsi almeno spiritualmente di un presente più alto nel quale ritrovare i valori, ora offesi di giustizia, di dignità.., ritrovarli nel silenzio della nostra anima integri, incontaminati, vivi nonostante gli affronti.

"Rincorrere il tempo", ma anche trovare il coraggio di "Lasciarci accompagnare dal tempo". Sa subito di pace. Accompagnare non è condurre.

Può essere un pensiero che sorprende, difficile da accettare, ma non superficiale. Nessuna contrapposizione, realtà che possono convivere, necessarie l'una all'altra: però se la si accetta, quest'ultima deve trovare spazio interiore di vita, l'importanza e la luce che le spettano.

In un'unica modalità di essere tutte e due ci appartengono, coesistono, l'una più viscerale, è la necessità, l'urgenza di ciò che accade e a cui dobbiamo far fronte, l'altra il respiro alto della vita, la fiducia nel nuovo che sopravviene e non conosciamo, e a cui non vogliamo rinunciare. Il non venir meno alla volontà di esere uomo nella complessità della persona e, se credente, non venir meno alla speranza *" malgrado le apparenze, che la storia umana avrà un destino finale positivo, di bene."

*Gianni Gasparini - Servitium n.198

sabato 21 gennaio 2012

L'accompagnamento mancato ( 50° di Q. di L.)

( Segue da 49° di Q. di L. )





....chiede di più.

Penso al malato: forse vorrebbe incontrare una persona capace di cogliere ciò che egli prova, una persona che stia dalla sua parte, che viva il turbamento per quanto gli accade e porti in la speranza da sempre presente in ogni uomo: che qualcosa in fondo continui. Perciò ti ascolta, ma si chiede chi tu sia autenticamente, come ti poni davanti a ciò che gli succede, il senso del tuo sorriso, della tua quiete; se c'è verità nei tuoi occhi. Ogni volta ti senti inadeguato, eppure ogni volta speri di vedere nel suo volto l'espressione di un bene scambiato, un riflesso di luce.

Anche la sola presenza può dire al malato che qualcuno vuole vivere vicino a lui i momenti di dolore esclusivo, di allontanamento, di solitudine totale; l'esperienza di abbandonare e di essere abbandonati. ( "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato ? ...Mt.27,46 )

Ho letto "..La speranza di un venerdì Santo, che sa che non conoscerà mai lo scampanio della domenica di Pasqua" (A. Neher), dunque un tempo che non concede preannuncio alcuno della "Festa", che tuttavia avverrà. Penso con affetto alla "mia" malata sconosciuta, forse questo soltanto mi avrebbe chiesto: aiutarla a traghettare, almeno con un filo di speranza, le ultime ore del Venerdì.

sabato 14 gennaio 2012

L'accompagnamento mancato (49° di Quaderno di Lavoro)

Arrivo puntuale al primo incontro. Parcheggio, pochi passi a piedi e sono davanti al civico 51. La porta di ingresso della casa popolare è a vetri: appesa una coccarda argento, sotto un nome e un cognome. Allibito; rileggo, mi avvicino di più, rileggo ancora. Provo dolore, non salgo. A passi lenti ritorno.

Non conosco la malata e da subito mi chiedo perché tanto dispiacere.

Non la conosco ma, come di consueto, prima dell'incontro l'infermiera me ne ha parlato: separata, il figlio 23 anni con grave handicap non mentale (vuole vivere con lei perché papà vive con un'altra), il tumore, le difficoltà economiche. Si ritira col figlio nella casa dei genitori, il vecchio è malato. Una donna morente vive il dolore di figlia che sa, con la sua morte, di rendere amara la vecchiaia dei genitori; di madre che vede il figlio abbandonato e non lo può più aiutare né proteggere; di sposa disillusa.

Lo stato di salute è giunto alla insopportabilità anche delle cose più piccole. Ma la storia di ogni malattia non può mai essere isolata, è un intreccio con quella di tutta la vita.

Vorrei esserci arrivato prima in quella famiglia anche se ancora adesso non so immaginare una soluzione, né le parole da dire.

A volte sono la simpatia o la sensibilità che collimano spontaneamente a rendere piacevole una conversazione, interessi o esperienze comuni, oppure il piacere di intrattenersi ad un certo livello di competenze specifiche o culturali,...secondo la propensione di ciascuno, tutto ciò è importante nell'accompagnamento. Ma l'evento della fine, nel suo approssimarsi chiede di più.

Continua.