domenica 21 ottobre 2012

L'Hospice del Trivulzio (61° di Q. di L.)






       L'esperienza del volontariato domiciliare che lascio alle spalle, mi ha creato qualche problema nell'accettare ciò che l'Hospice offre a un volontario; il pensiero e l'affetto sono fissi all'intensità e all'unicità del rapporto che intercorreva col malato, con la famiglia quando li incontravo nella loro casa. Il consiglio di molti nei momenti di perplessità, è stato di prolungare la mia permanenza in Hospice prima di deciderne l'adesione o l'abbandono, e così ho fatto.

       Durante il turno dei miei primi servizi chiedo a Giusi, volontaria giovane e esperta che mi accompagna, "in modo sintetico, che cos'è per te l'Hospice?". La domanda è inattesa, qualche attimo di concentrazione, poi sicura "E' accoglienza". Ho provato un senso di smarrimento, " un po' poco "
mi dicevo, con tutti i dubbi che mi portavo appresso, e tuttavia sono rimasto con la curiosità di scoprire ciò che non conoscevo, e che gli altri avevano già trovato. "L'Hospice del volontario" lo capisci un po' alla volta.

       Ora, con più quiete e con gratitudine, la mente torna alla risposta di Giusi: concisa, essenziale, più semplice e più bella non la so pensare, in una parola la ricchezza che molte insieme forse non sanno dire.

       Spaziose le stanze, gli spazi comuni, terrazzi ampi, vetrate; l'interno tinteggiato a colori pastello chiaro, bianchi i soffitti e le porte. La leggerezza e la luminosità dell'ambiente aprono alla serenità familiare che il personale e i volontari comunicano sin dalla prima accoglienza.

       Con semplicità non casuale, tutto è predisposto ad ospitare il malato terminale e la persona che lo accompagna: qui la malattia viene accolta sino al suo epilogo.

       Hospice è accogliere, prendersi cura, accompagnare, condivisione discreta e affettuosa di fronte ai mutamenti che avvengono nel tempo residuo della vita. L'ospite sa che tutti lo guardano con simpatia, nessuno stupore per i suoi limiti, tutti in sincerità lo stimano per l'uomo che è, disponibili a condividere con lui la condizione umiliante del proprio corpo malato. Per il volontario è invito a rimanere al proprio posto: nell'umiltà dell'accompagnamento, la speranza di scorgere, ascoltare nello sguardo dell'altro l'eco di un bene scambiato, di un sorriso che non ha ferito.

       In ogni stanza un uomo, una donna sono in attesa, ognuno di ciò che spera o non sa, o a volte già conosce. Non importa il censo, l'età, la mediocrità o l'eccellenza; non c'è distinzione. Ogni malato restituisce alla vita un poco di sé: un po' del suo camminare, della sua voce, dell'aspetto bello di quando era sano, un po' della sua memoria o della sua consapevolezza; ogni giorno un poco si sé. La patologia si aggrava, si aggrava ancora. Senza rumore, i volti di una umanità sofferente che passa. Dalle vetrate vedo la mia città, operosa, che non si ferma, ma chi è nel lutto, se vuole, può accogliere la vicinanza discreta, il calore umano, solidale dei volontari come segno forte, positivo in un momento difficile della vita, forse di una vita che cambia.

       Qualcuno prega, non soltanto per sé. " Ti credo Signore, Dio della vita ".

       ( segue )

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