mercoledì 30 dicembre 2009

Blogger, il mio primo anno

Dopo una lunga, ininterrotta copiatura del Quaderno di Lavoro, provo difficoltà a reinserirmi nel flusso della libera conversazione. Temo di disturbare un discorso avviato da tempo, impegnativo..."per chi lo segue", così devo dire con sana ironia, considerata la "folla di visitatori o lettori" del mio sito. Continuare, interrompere la copiatura del Quaderno (che in effetti prevale sul colloquio aperto ad altri argomenti) ? Potrei rispondere adducendo motivazioni di diversa natura, e insieme incerte, ma è impossibile prevedere sempre le conseguenze delle nostre azioni; scelgo la via più semplice, dico "si", continuo.
Oggi rovistando le mie scartoffie, tra le mani m'è passato un foglio scritto al ritorno di una gita in montagna, quasi 20 anni fa; qualche cancellatura, frasi restaurate che lasciano intravedere la prima scrittura; lo copierò domani, così come l'ho trovato.
Cammino solo, in Alta Val Viola. In modo insolito ne anticipo qualche flash, qualche considerazione. Domani il resto.
E' piacevole per me rileggerlo, rivedo il masso poderoso, tali le dimensioni che il suo roteare sembra lento, alto dal suolo, batte il pendio, rimbalza, colpisce ancora e ad ogni appuntamento col terreno la montagna sussulta. Il suono giunge appena dopo l'immagine.L'ultimo urto, non uno schianto, un tonfo sordo, quasi felpato che ti penetra dentro, vibra più forte il terreno, poi gli attimi appena successivi: si alza un silenzio nuovo, sconosciuto, cui nulla può opporre la valle, il nessuno che ho attorno, vastità statica, non un segno di vita. Attesa.
Il sentiero che trema, la montagna ferita, assistere, ascoltare...immagini, ricordi annidati nel sentire della carne e nel cuore, rileggo e tuttavia ciò che oltre e di più mi sorprende è quel traslare dalla visione di cose concrete e inanimate a una verità superiore che tutto include da sempre, da sempre oltre eppure accanto, velata e insondabile, in apparenza muta. Attesa.
Natale 2009: "Oggi è nato per voi un Salvatore", bambino già fuggiasco, in lontananza una croce.
La festa, la gioia del Natale non si esauriscono nella sfera della propria intimità e neppure in chiesa...mi guardo attorno, mi è difficile, quasi irrispettoso parlare di festa. Tuttavia qualunque sia la nostra storia, il nostro oggi e il futuro che si profila, soltanto da quel sentiero di "verità" possiamo attingere la speranza e il coraggio di attendere " Il Regno".

mercoledì 23 dicembre 2009

Scelgo il mio silenzio ( 9° di Quaderno di Lavoro )

Gli ambienti e le circostanze in cui mi trovo esigono anche il silenzio, a volte suggeriscono come viverlo e gestirlo nel rapporto personale col malato. Tento qualche riflessione.



- C'è il silenzio fuori e il silenzio dentro di me.
- C'è il silenzio del malato e il silenzio del volontario.
- Il silenzio è condizione per l'ascolto; anche per l'ascolto del silenzio dell'altro.
- Devo attenzione e ascolto al silenzio dell'altro.
- Il silenzio è raramente muto.
- Non sempre le parole dicono più del silenzio.
- Vicino al malato il silenzio non è anonimo, rivela significati, stati d'animo, emozioni.
- Il silenzio si qualifica nel modo in cui lo si vive: accoglienza e comunicazione, indifferenza e rifiuto.
- Quando il silenzio è ascolto, cioè accoglienza, porta già in sé un messaggio di consolazione, di pace .
- Devo imparare ad esprimere il mio silenzio; a cogliere l'attimo nel quale devo tacere.
- Nel silenzio assume importanza lo sguardo.
- Vi è il silenzio delle lunghe pause: il malato si sente a proprio agio nella quiete del volontario.
- Quando il silenzio si fa pesante da sopportare, a volte si dicono parole vuote. Sono parole a rischio, interrompono il silenzio ma lo fanno precipitare nella estraneità del malato.
- Il silenzio che il malato vive come abbandono è contagioso: per qualche attimo anche il volontario ne fa l'esperienza.
- Il silenzio soffocante può indurre a considerare inutile la presenza del volontario, il fallimento del suo esserci, vicino al malato terminale. Ma il silenzio discreto e portato con sofferenza, ospita sempre un messaggio e un segreto: ciò che vorresti donare e che inconsapevolmente esprimi con tutto te stesso, ciò che del tuo silenzio il malato porterà con sé.
- Il silenzio può essere luogo di solitudine, di sofferenza o di disperazione. Ma il silenzio, anche quello del malato, non va temuto a priori. Il silenzio è necessario all'uomo: può essere tempo di comprensione profonda di sé e della vita, consapevolezza di responsabilità, tempo di scelte.
- Maria, nel silenzio, ha "accompagnato" il Figlio morente sulla Croce.

domenica 20 dicembre 2009

Il malato ricorda ( 8° di Quaderno di Lavoro )

Vi sono ricordi che riaffiorano nella memoria offrono l'occasione di uscire dalla routine della malattia, per rivivere la serenità e la dolcezza di epoche e di avvenimenti particolarmente cari.
A volte però il malato si sofferma in modo troppo ricorrente sulle realtà negative che gli hanno contrastato la vita. Rapporti e fatti ostili, gioie inutilmente attese, la felicità rubata dalle persone e dagli eventi, insomma un passato che ancora lo inquieta. Sente il bisogno di trovare una risposta, una giustificazione all'ansia di oggi per i problemi che gli urgono dentro, oltre la malattia, e spiegare a qualcuno il perché di questa sofferenza che non passa.
Mi intrattiene su ciò che gli è accaduto, descrive situazioni e persone, e senza avvedersene il mio malato mi parla di sé, mi partecipa i movimenti del suo animo; cerco di essere attento al modo in cui rivive oggi il ricordo. Poco importa la ricostruzione fedele dell'esperienza passata, ora vorrei che il suo animo si aprisse non tanto alla speranza di un domani, e neppure ad un futuro oltre la morte, ma "semplicemente" alla pacificazione del suo passato con la vita presente.
Il malato non si attende da me una presenza da pseudo-analista, ma un coinvolgimento vivo, pulsante, e a questo tento di rispondere con semplicità: "ascolto" il racconto con partecipazione e interesse, e ne accetto i contenuti (accettare non è consentire) sforzandomi di non tradire emozioni di disagio o di turbamento ( che più facilmente possono raggiungere se al centro della mia attenzione rimane il malato nel suo modo di vivere oggi il presente di allora ).
Spesso affiorano sensi di colpa, di rimorso o il risentimento verso gli altri. Quest'ultimo atteggiamento per me è il più difficile da affrontare, richiede discernimento e prudenza evitando di schierarsi con giudizi di parte. Quietamente e con affetto, tento di orientare il malato a non combattere il dolore che sta alla radice del risentimento; suggerisco il perdono nei confronti di quelli che nella sua storia contano per lui, perché solo in questo troverebbe la sua pace.
Gli dico che anche per me chiedere perdono e perdonare è duro, ma non vedo altra via se vogliamo che la vita ci ritorni amica.

mercoledì 11 novembre 2009

Accogliere l'umanità del malato terminale (7° di Quaderno di Lavoro)

Qualcuno mi ha rivolto una domanda pertinente: che cosa intendo per umanità del malato. Il termine infatti rimanda a più significati, il genere umano, i tratti somatici, gli aspetti spirituali o culturali caratteristici, ecc. ma l'interesse ora non è teso alla ricerca di definizioni.
Mi pongo di fronte al malato terminale: l'umanità che intendo considerare risiede tutta nella sua individualità, una realtà che non mi riesce di comprendere e descrivere compiutamente e che tuttavia cerco di accogliere nella sua complessità; ascolto ciò che ora lui è, sente, dice e fa, e in lui il suo passato, ascolto le persone con cui vive.
Questa accoglienza non implica consenso incondizionato. Ricordo ad esempio, un malato che manteneva un comportamento irrispettoso verso la moglie. Ad ogni episodio increscioso seguiva l'onda di riflusso della frustrazione e dell'angoscia. Impossibile approvare il suo comportamento, ma accettarlo mi ha permesso di stargli vicino nei momenti dell'umiliazione. Un'esperienza condivisa, non strettamente vincolata alla malattia, vissuta in un rapporto da uomo ad uomo più che da malato a volontario.
Incontro persone di estrazione culturale, ideologica e religiosa diversa: accoglierle nella loro umanità, apre ad una comprensione e ad una solidarietà profonde, all'amicizia e all'amore come bene primario che accomuna.
Ho di fronte il declino finale dell'uomo:abbiamo in comune la vulnerabilità, la povertà davanti alla morte, all'oltre che sovrasta la condizione umana anche se vissuta in momenti e contesti esistenziali differenti. Parole di Enzo Bianchi, Priore di Bose: "Solo quando la relazione tra visitatore e malato si configura come un incontro di poveri, il rapporto con il malato può divenire luogo di comunione, di amore e di responsabilità" ( "Accanto al malato").
Per lo più la gente riserva compassione, commiserazione, ma scarso interessamento al cammino spirituale che il malato sta ancora compiendo, e che arricchisce chi gli è accanto; la stima, gli elogi sono appannaggio del volontario. Il malato, prima ancora che per le sue necessità, ha diritto all'assistenza e all'amore semplicemente perché è un uomo, e a fronte di questo diritto sta l'impegno morale che provoca a riflettere sul significato del proprio volontariato.
Il cristiano ricorda che la parabola del Buon Samaritano non conclude con un invito all'opzione, ma con una indicazione perentoria: "Va e fa altrettanto".

venerdì 23 ottobre 2009

L'urlo e il lamento (6° di Quaderno di Lavoro)

L'urlo del dolore è irrispettoso della dignità dell'uomo. Può mutarsi in uno scempio di voci che si rincorrono, ma è sempre la stessa, che si modula in suoni impossibili; solca un tempo sempre troppo lungo, tragica e ridicola, allo sbando, senza controllo. E' la pura reazione del nostro corpo animale sopraffatto: interrotta ogni comunicazione. Anche il contatto fisico, così carico di significati, trattiene soltanto i sussulti di un movimento scomposto. Ma appena il dolore si riaccosta alla soglia della sopportabilità, la piena dell'urlo si quieta, nasce di nuovo il lamento, riemerge l'umanità, il malato con le sue emozioni, i suoi sentimenti. Il lamento ha orizzonti vasti, sussurra o grida l'intensità dell'animo, il sentire che l'uomo ha dentro di , oltre la sua parte dolente.
Realtà complessa il dolore del malato terminale, risiede nella carne, ma affonda le radici anche nel vissuto, nell'interpretazione che il paziente ne da; c'è il passato, c'è la sua vita di oggi, le sue aspettative. Il rifiuto, la delusione o la rabbia, oppure la rassegnazione o addirittura l'amore, la fede, si fondono con la sofferenza fisica fino a costituire nel lamento una sola espressione, una natura, una realtà unica eppure complessa: questo è il dolore che ho conosciuto accanto al malato terminale. La vita che mi ha voluto confidare, i suoi percorsi di luce e di ombre, i significati, le speranze, mi aiutano a comprenderne il lamento.

La tentazione è di essere sbrigativi: si dice "Non complichiamo le cose", oppure "Si lamenta solo perché sente male". Vero, ma qui ogni semplificazione impoverisce la condivisioe delle realtà che più gli stanno a cuore e che non è in grado di esprimere, significa trascurare una porzione rilevante del suo dolore. Una minor comprensione può far scivolare il malato dall'isolamento che già patisce, alla solitudine.

E' difficile parlare del dolore del malato terminale senza correre il rischio di dire troppo poco, il rischio della banalità, oppure quello di parlarne senza dire nulla. Però è anche impossibile parlarne compiutamente. Accanto al malato terminale ho conosciuto anche un'altra verità: il dolore oltre ad essere complesso è inesprimibile.

(Renato novembre) Un malato anziano, T. cerebrale, afasico, emiparesi lato destro. Dolori lancinanti da "crampi" alla gamba. Si dibatte, urla, cerchiamo di trattenerlo. Una breve tregua, e il dolore si fa sopportabile, si volta: un lamento sommesso, tremulo, lo sguardo assorto, fisso negli occhi della moglie china su di lui; alza il braccio sinistro e con le nocche sfiora lentamente il viso della donna. Ripete il gesto. Di nuovo urla. L'iniezione.

Non basta lo sguardo, né l'udito, c'è di più: sono così lontano dal capire, ho bisogno quasi di non vedere, non udire per comprendere meglio. L'urlo e il silenzio del dolore sono assordanti, ma non in senso fisico. Anche dentro il silenzio ti scuote l'ascolto.

Mi si chiede di tenere a bada le emozioni, ora il mio dovere è la sorveglianza lucida, la presenza efficiente, e così mi impegno. Ma tutto si raccoglie nel cuore.

mercoledì 14 ottobre 2009

Parlami della tua morte ( termina 5° di Quaderno di Lavoro )

Maturare una posizione davanti alla realtà della fine, ha significato per me mettere a confronto la consapevolezza dei valori che determinano la mia esistenza, la mia stessa persona, con le situazioni estreme e ricorrenti, che caratterizzano e accomunano le esperienze dell'accompagnamento. Ancora oggi significa collocare nel mondo della mia normalità quotidiana ed applicare a me l'esperienza vissuta dal mio malato, del "qui e adesso", dell'imminente e del già accaduto, dell'attesa sopraffatta dal silenzio e dalla immobilità del dopo. Questo percorso si affianca alle parole della scienza ed è, a mio avviso, un cammino importante, cui può seguire una risposta a volte non formulata, ma concretamente vissuta, perché questo procedere modella la vita.
Scaturisce un nuovo modo di essere, di accostarsi alle persone e ai fatti; un modo non secondario di parlare al malato della sua morte, di rispondere forse a una domanda sottesa, che non trova la forza di emergere. Il modo personale di condividere l'attesa diventa colloquio, testimonianza semplice di speranza, forse parole che consola.
Qualcuno mi chiede "...cosa vai a dire a un malato terminale ?". Non so, ma spero che anche la mia sola presenza sia un dire.

sabato 10 ottobre 2009

Parlami della tua morte (5° di Quaderno di Lavoro)

Chi avvicina questo tipo di volontariato ha occasione di ascoltare molte conferenze sulla morte. Parlano medici, psicologi, volontari, consigliano libri e letture, la morte insomma è qualcosa da analizzare e conoscere perché non deve spaventare. L'oggettività e il distacco, il coinvolgimento controllato marcano il limite professionale: la persona scruta, osserva, analizza il "fatto" vissuto da un altro. Poi con acutezza relaziona, e iniziano i distinguo: la morte, il morire, l'abbandono "anticipato" della vita...qualcosa che appartiene a tutti e a nessuno. Fa parte di un bagaglio di conoscenze indispensabili nella fase di preparazione all'attività del volontario domiciliare. Ho appreso con impegno e spero con senso di responsabilità.
Ma altro è parlare della morte, altro trovarsi a vivere la morte mentre il malato muore, e altro infine, è l'esperienza che il volontario ne porta con sé e rielabora. Il malato che si sente vicino alla morte, a volte pone una domanda imbarazzante, argomento insolito, un po' ostico. Le parole di Mario, nel giugno, erano queste: " Tra poco mi verrà addosso la morte e ho paura. Secondo te, cosa succede, come sarà ?".
Non c'è stato il tempo di ripensare alle conferenze. Ho sentito che gli volevo molto bene e avevo bisogno che le mie parole gli arrivassero al cuore e lì potessero restare, che non scivolassero via. Gli ho aperto semplicemente il mio animo, ho condiviso con lui come io mi pongo davanti alla morte, gli ho parlato insomma della mia morte (non di come morirò), l'ho fatto partecipe delle risposte (di speranza) che io mi ero già dato ( e continuo a scrutare). Sono queste, mi sembra, la domanda e la risposta che al malato preme porre e ascoltare quando parla o chiede della sua morte imminente...."secondo te,.." cioè, in modo più vero "parlami della tua morte, che poi non è domanda tanto stonata, dal momento che anche tu morirai". Domande e risposte parlate a mezzi toni, attinte adagio dall'ascolto e dal silenzio, modulate secondo il momento e il ritmo del malato, meditate e ascoltate anche da chi le le pronunzia. Discorsi abbozzati, rimasti a volte in sospeso, a volte ripresi, oppure qualche accenno soltanto; ma non è l'esame di ciò che sai, non c'è cattedra tra te e lui, è il conforto di non essere soli nel proprio destino, la speranza di poter andare oltre la paura. Discorsi sempre segnati dall'affetto e dalla misura: sempre dalla riservatezza e dal rispetto dello spazio intimo che si deve a ogni scelta.
( segue)

sabato 26 settembre 2009

Ambulanza ( 4° di Quaderno di Lavoro )

L'ASL richiede un volontario che accompagni all'ospedale una malata. E' mattino, l'ora di punta, e nell'ambulanza scambio le prime parole con la signora Luisa; le fa piacere sentire che portiamo lo stesso nome e abbiamo la stessa età. Ha lineamenti gentili, capelli radi bianchissimi, respira a fatica, l'aspetto è di persona molto dolce. Mi dice della sua malattia, mi parla dei condomini (si conoscono da quando è stato costruito il fabbricato), dice che aveva molti capelli, che vestiva bene. Un filo di voce e un bisogno pressante di intrattenersi con qualcuno. Sa di essere terminale e piange, pensa al marito malato di Alzhaimer. Sono soli. L'autista ha la cortesia di comunicare che inserirà la sirena.
In ospedale la stanza è a cinque letti. Scendo al piano terreno e sbrigo qualche pratica all'accettazione. Le hanno portato il the, lo vuole dolce, ancora più dolce, non so quanti cucchiaini di zucchero. Camminiamo adagio nel corridoio verso il telefono, vestaglia e ciabattine come è uscita di casa, l'equilibrio è incerto. Parla a fatica, eppure è un torrente di parole affettuose che corrono nel filo verso il marito malato, come parlasse a un bambino, mille raccomandazioni; probabilmente inutili. Interrompe e l'accompagno con urgenza ai servizi. Ne esce stravolta, la sorreggo, si aggrappa al mio braccio anche con l'altra mano. A voce bassa qualche parola per sentirci più vicino; il corpo a volte sa alla perfezione come umiliarci.
La signora Luisa dice che ha visto sfumare tutto, salute, bellezza, affetti, si sente tradita dalla vita; eppure la vita non l'ha tradita, semplicemente si sta esaurendo.
Ora è sdraiata sul letto, le tengo la mano. Mi fa un cenno e mi accosto: "Signor Luigi, una volta credevo, ma adesso è troppo", piange. Ci guardiamo in silenzio, una carezza lieve sui capelli bianchi, e un sorriso. "E' tanto stanca, adesso riposi".
E' arrivata l'infermiera, ci salutiamo, la carrozzina si allontana nel corridoio; scendo le scale verso l'uscita. Mi sento addosso la sua sfinitezza, l'angoscia, la nostalgia struggente della sua fede che non ha abbandonato. Ora è il tempo del pianto.
In me, come una eco, le parole di un salmo: "Il Signore è fedele per sempre".

mercoledì 23 settembre 2009

Al mio nipotino

Sardegna, coste di sabbia e di rocce a strapiombo, di vegetazione rada e terra bruna selvagge, scoscese, quasi dirupo sino a mare. Acqua aperta all'orizzonte e chiusa nei golfi, acqua di blu e di verdi che digradano delicati e intensi. Macchia mediterranea, eucalipti come filari lungo le strade, il cielo azzurro, alto. I nuraghi dalla preistoria,...poi la storia con chiese romaniche, soffitti a carena di nave, monasteri. E ancora la storia più vicina, di una città "brutta": una cosa bella soltanto vi era, una persona... qualcuno se l'è portata via ..a Milano. Rideva lo zio e ridevamo tutti noi !
Ma bellissimo è anche essere stati insieme, uno zio "maestro" raffinato e affettuoso, la dolcezza di una zia, un bambino di dieci anni, tipetto sveglio, felice e contento di tutto, che protestava però l'ingiustizia di non poter rimanere in Sardegna,.. e al seguito due nonni,anche loro felici. Qualcuno ha obiettato "No, i nonni erano quattro".
Oggi dalla mia scrivania ho aperto una finestra sul Tirreno, una folata di vento di mare, il ricordo allegro delle persone a cui vuoi bene, a cui vuoi dire grazie.
Nonno Luigi

giovedì 17 settembre 2009

Il "ritorno"

La visita è conclusa.

Lei, "dottore ..per chiarezza, è questione di mesi!"

"Eh..,di mesi..non si può dire"

Siamo in macchina, quieti sulla strada del ritorno.

"Sai Luigi, quest'estate quando ero a Santa Maria Maggiore, ascoltavo la messa, rito romano naturalmente, e ricordo una frase bellissima nella lettura di un profeta poco noto.

- Israele preparati all'incontro con il tuo Signore - ."

domenica 30 agosto 2009

IL PALCO

Parlano di libertà. Libertà di informazione, di stampa, nulla da eccepire, ci mancherebbe altro.
L'affare Berlusconi, poi Feltri, Boffo, Ezio Mauro....soltanto i nomi più in voga, ma senti le parole avvelenarsi, diventare crudeli, uno contro l'altro come in un gioco di gladiatori. Cerco di tenermi a distanza, ma sono parte di questa società. Coinvolto dunque, indignato. E umiliato.
Intanto l'importante è colpire, privacy, pubblico, privato, dignità, confini labili per ogni giornalista, ognuno tiene il palco e non so se i burattini alla fine siano i grandi nomi oppure noi (io compreso) che assistiamo inermi.
Si informa, si accusa, si condanna, si diffama,....l'Italia in coda agli altri stati attende: tanti problemi, le riforme, drammi che incombono su molte famiglie nel mondo del lavoro. I suoi uomini sono sul palco.
Forse politici e giornalisti non sanno che non si uccide soltanto fermando il cuore

giovedì 20 agosto 2009

L'ultimo incontro (termina 3° di Quaderno di Lavoro)

Annuisce e mi sento sollevato, questo parlare si è fatto colloquio. Solo ora mi sono inoltrato in una conversazione tanto delicata, altre volte ne avevamo sfiorato il limite, ma ho sempre lasciato a lei il segnale, così come è accaduto. "Stai in pace Attilia" e spontaneamente, a bassa voce come parlassi a me stesso, "il Signore vuole bene a tutti, vuole bene a te, a me, a tutti". Uno scatto inatteso, volge il capo verso di me, mi fissa: "A tutti ?" "Si a tutti, per questo dobbiamo stare in pace".
Parole quiete, scandite con fermezza eppure sofferte, intrise di commozione. Il primo giorno, quando ci siamo conosciuti, Attilia mi aveva detto: "Come mai hai scelto questo tipo di volontariato? E' quello che avevo in mente di fare anch'io, e invece eccomi qua, dall'altra parte. Vuol dire che lo faremo insieme". Ora mi passa avanti, è lei a farmi strada, ad aiutarmi.
"Ti sei affaticata" le dico "per me è bello anche stare in silenzio insieme, è riposante". Sembra tranquilla, annuisce ancora e sorride. Ora Attilia è contenta perché sente arrivare Giovanni: è premuroso con lei, le si avvicina, si interessa poi va a riordinare la spesa.
Mentre Attilia dorme, Giovanni mi batte sulla spalla e andiamo da soli, in amicizia, a parlare nell'altra stanza. Sa che resta poco tempo. Non so se quelle due parole di Attilia fossero una domanda soltanto o una preghiera, so che mi hanno coinvolto profondamente; mi hanno detto la fede che aveva dentro, la speranza del dopo, di un bene troppo grande che non può non aprirsi anche agli altri: "A tutti ?" "Si a tutti".

sabato 15 agosto 2009

L'ultimo incontro ( 3° di Quaderno di Lavoro )

L'aspetto è provato, ma sorride accennando un saluto. Anch'io le sorrido, "Non ti do la mano, è gelata. Si sta bene in casa". Anche col marito niente "come va", lo sguardo è domanda e risposta, e dice la nostra amicizia; in cucina ricevo le poche "consegne", poi Giovanni esce.
Mi siedo accanto al letto. Ogni tanto Attilia beve un po' di aranciata, a sorsi dal cucchiaino. Appena un velo di apprensione sul volto, però c'è posto anche per qualche sorriso; parole poche e lente, per ognuna una piccola riserva di fiato, allora gli sguardi tentano di soccorrere la sua fatica, lo sforzo di una frase che stenta a uscire.
"Devo dirti una cosa. Personale"
"Sono qui, se ti fa piacere possiamo parlarne subito, altrimenti quando ti sentirai"
"Aspettiamo dopo"
Qualche intercalare semplice, a volte ironico, è molto bello che abbia il senso dell'umorismo; un sorso, una pausa di silenzio e si appisola. Apre gli occhi. "Devo dirti una cosa", è la frase che ascolto da giorni, sempre troppo lunga per essere pronunciata d'un fiato.
"Ti ascolto volentieri", ma mi rendo conto che devo aiutarla.
Procedo a tentoni, rileggo mentalmente gli argomenti più significativi dei nostri colloqui, le impressioni precedenti. Le chiedo se si riferisce al '68 che insieme al marito aveva vissuto in modo entusiasta ma, in certo senso anche traumatico.
Accosto l'orecchio alla sua bocca: "No" poi sussurra "la comunità". Giovanni mi aveva parlato di qualche incomprensione sorta all'interno della parrocchia che frequentavano. Un contrasto non risolto, il rifiuto, poi la separazione, non importa quanto né da chi voluta, certamente sofferta. Così tento qualche parola, con cautela, con un po' di timore e la speranza di indovinare.
"Attilia anche se in una comunità abbiamo contestato le strutture, le istituzioni, intendevamo solamente contestare gli uomini, i loro metodi; questo non significa aver rifiutato chi sa sopra di tutti". Un giro di parole, ma non volevo forzare un colloquio ancora incerto. Osservo la sua espressione, lei mi segue attenta con gli occhi e annuisce, parlo lentamente, le pause consuete.
"Stai tranquilla, in pace. Forse, in certe situazioni sentiamo il bisogno di fare un bilancio generale della vita", l'assenso si fa vivace.."non capita soltanto a chi è malato, è normale nei momenti o nelle situazioni che riteniamo importanti, del resto anche chi è anziano come sono io (sorride) più si inoltra negli anni e più frequente ne avverte il bisogno. Forse può diventare un confronto sereno, non so quanto valga la mia esperienza. Io ho l'impressione che quando si ripensa la vita, le cose fatte buone o cattive, importanti o secondarie, perdano importanza, le senti quasi lontane, mentre acquista valore il ben che hai dentro, che sei tu adesso, in questo momento, per te e per gli altri, le scelte spirituali che compi".
La vedo annuire di continuo. "A me sembra così: il bilancio della vita è il bene che siamo diventati, il nostro desiderio di un bene ancora più grande che vorremmo essere e dare agli altri, anche se non ne siamo capaci: anche se è tanto grande che, pur desiderandolo non riusciamo neppure a contenerlo".
(Continua)

venerdì 24 luglio 2009

Incontro un nuovo malato( termina 2° di Quaderno di Lavoro)

Giugno



Da settimane Sandro è fermo, può voltare soltanto la testa. Lo aiutiamo a sedere sul letto, le gambe penzoloni e gli avambracci appoggiati a una barra che abbiamo fissato. Alcuni cuscini e una fascia agganciata alle strutture lo cingono, ma sta poco, a stento il tempo di qualche boccone che la mamma gli porge. Non riesce a sostenere il capo, e subito cominciano le operazioni per riposizionarlo sdraiato.


Si sente stravolto dalle vertigini e dalle allucinazioni ormai frequenti; allora dice flebilmente "aiutatemi"; ti fai vicino, un contatto, una parola, ma è poco. Improvvisamente Sandro si rivolge alla zia infermiera.


"vorrei, vorrei sapere se c'è ancora speranza"

"speranza di che cosa ?"

"di guarire...se è stato tutto inutile"

"ma cosa dici, sai che i farmaci non fanno effetto subito, ci vuole tempo"


Qui non reggono l'idea di informare il malato. Angoscia profondamente vedere un uomo privato della consapevolezza delle sue ultime ore, è come fosse derubato della libertà e della vita che gli resta, in certo senso anche di quella passata.


So che devo rispettare le loro scelte ma spontaneamente, con decisione e tono pacato, taglio il discorso alla zia.


"Sandro non è stato e non è inutile, noi siamo molto contenti che tu sia qui con noi, anche noi soffriamo insieme a te e ti vogliamo bene. Nessuno, né per te né per ciascuno di noi, nessuno può dirci che cosa succederà domani. Accontentiamoci tutti di vivere giorno per giorno, anche tu con noi, se siamo capaci, con fiducia e in pace. Niente è stato inutile Sandro".


Non so da dove mi siano venute improvvisamente queste parole, ma non ho saputo dire di meglio. Non so neppure perché si sia quietato; dopo ricordo soltanto il suo silenzio.


Lo guardo. Ogni segno di vita ora è proprio relegato al viso. Questo corpo inerte, deformato, avvolto dall'affetto di tutti ma estraneo anche a Sandro, è una cosa che curi, sposti, ma lui lo trovi soltanto in quegli occhi umidi, nel viso. Oggi mi ha chiesto di muovergli il capo in una posizione diversa. Dice che così va bene. Si assopisce spesso; l'occhio sinistro deformato, sporgente, resta aperto anche quando l'altro è chiuso nel sonno.


Ha mormorato qualcosa.

La mamma "Sandro hai parlato?"

"no stavo sognando"

La mamma si rivolge a me, accennando un sorriso: "sta sognando, forse nel sogno cammina".


Giugno.


Sono stati giorni lunghissimi a fine giugno, vorrei dire crudeli per questo procedere troppo lento, inesorabile. Giorni e notti con un respiro che arranca. Non mangia più, non beve. A marzo, in aprile, ci sono stati anche momenti di allegria, abbiamo persino riso insieme, ma ora non è più tempo.


Ogni giorno nel tardo pomeriggio arriva Maria Teresa, l'infermiera dell'Unità di Cure Palliative: è persona attesa e amata. La professione che possiede saldamente e la carica affettiva che trasmette ne hanno fatto il perno, il punto di riferimento quotidiano per la famiglia e per Sandro.


Siamo tutti stanchi, i genitori sfiniti eppure forti per vegliare sul figlio: c'è la zia e ci alterniamo perché possano riposare, riposare anche lo sguardo da quell'osservare incessante. Adesso si parla adagio per non disturbare, si sta anche zitti; sembra sempre imminente, eppure passano i giorni.


Ricordo che una volta Sandro mi ha detto "in America ci sono delle macchinette che regolano la vita come vuoi". Mi interessava l'idea naturalmente, e quieti ne abbiamo parlato, senza scandalo e senza assenso. Anche oggi qualcuno non ne può più, e dice che "basterebbe un'iniezione, ma qui in Italia non si può"; questo sfogo non chiede parole di ritorno, vuole soltanto essere ascoltato; la comprensione si fa più grande, condividi la sua e ormai la tua sofferenza, gli stai vicino, gli vuoi bene. Oggi non trovo risposta.


L'ora è insolita ma vado da Sandro, è troppo grave. Siamo insieme nella stanza in silenzio. Questo respiro non ha più ritmo, le pause sono troppo lunghe ti fanno pensare che sia l'ultimo, poi ti ricredi perché un altro ne viene, e un altro, fuori tempo. Basta.


Gli sguardi si sollevano, si incrociano, si fermano per un lungo istante negli occhi dell'altro; c'è un sospiro lieve, forse di riposo. E' il dono della morte. E' accolta da tutti con semplicità, con naturalezza; la mamma però deve convincersi poco a poco.


Non so immaginare la mano che stringe una siringa, forse un giorno oppure mezz'ora prima...la morte ci chiede di riconciliarci con la vita. Ti resta sempre un senso profondo di riconoscenza, il bisogno di ringraziare: Sandro mi ha accettato nei mesi forse più difficili della sua esistenza, i genitori mi hanno sempre accolto come "uno della famiglia", Maria Teresa, per me un esempio e una scuola. Pensavi di dare e vedi quanto hai ricevuto.


La ricchezza di questo amore e della sofferenza che ho conosciuto si stempera in me nella fede che tento di vivere, e guardo in un orizzonte più ampio e incomprensibilmente gioioso la nuova realtà di ciò che è stato. Il tempo sbiadisce i ricordi della sofferenza, e l'amore che hai vissuto si sedimenta nel tuo animo sino a diventare te stesso, a diventare preghiera.


Può sembrare contraddittorio, eppure proprio questo richiamo all'amore, al servizio, mi impone oggi di "ritirami" da Sandro. Non devi "possedere" il malato, non devi tenere per te il suo affetto e neppure il suo dolore: anche il malato è di Dio, non tuo.


Così, libero, sereno nello spirito e nel volto, potrò avvicinare ancora un malato e chiedergli se mi vuole accogliere.

A metà dell' estate

Quando si è in tanti le piccole storie o gli eventi più significativi ogni giorno crescono insieme, come l'erba del prato: la varietà delle forme, dei fiori colorati, la diversa resistenza alla forza del vento, formano un unico insieme.


Nelle famiglie i più piccoli diventano meno piccoli, altri si sono già presentati puntuali agli appuntamenti importanti, Prima Comunione, Cresima, la laurea...ora nuove iscrizioni, la ricerca di un lavoro. L'erba cresce.


Qualcuno ci offre momenti di apprensione, anche questi da condividere.


A fianco dell'allegria contagiosa dei bambini, del vigore e della vita di chi è giovane, qualcosa si allenta. Uno stelo è un po' chino, difficile distinguerlo nel prato, eppure c'è in tutti attenzione. Mentre lo curi, lo sguardo può alzarsi oltre il piano dell'erba e raggiungere un pezzo di cielo. Ti fa pensare che si può credere anche in ciò che non tocchi e non vedi. Sa di fiducia, di pace...anche queste da condividere "insieme".


Sono tornato al mio blog. Per troppo tempo ho lasciato a metà un articolo, rimedio e lo concludo.









lunedì 29 giugno 2009

Incontro un nuovo malato (continua 2° di Quaderno di Lavoro)

Maggio.

Sandro si è aggravato. Anche le braccia e le mani si fermano. Gli porgo alla bocca una caramella, gli alzo il peso morto del braccio per cambiargli posizione. Hanno comprato due letti da ospedale, la stanza è riordinata e ci sono dei fiori al davanzale. Quando esco la signora mi saluta alla porta, poi subito viene al balcone del cortile al piano rialzato, e dalla parete di edera che lo ricopre vedo un gesto lieve della mano, tra le foglie un sorriso dolce, velato. Non mi so abituare, ogni volta mi scuote, mi fa soffrire di più. Lunedì mattina dovrò essere là presto perché il marito sarà assente: la visita mensile di controllo del suo melanoma. Anche a lui oggi, parlando di Sandro nella saletta, si sono fatti gli occhi lucidi.
Cerco di darmi a loro come più sono capace, ma sento anche il bisogno di ritirarmi in me stesso, di capire di più quello che vedo in tutto questo soffrire. Vi sono momenti nella vita in cui restiamo assolutamente indifferenti al mondo esterno, alla cultura, all'economia, al potere, ad ogni impulso di competizione con gli altri, ed emerge l'uomo nella sua dimensione essenziale alle soglie delle realtà e dei valori definitivi. Se vi è assenza di dolore fisico e nella lucidità di una mente consapevole,questi, nel malato, sembrano momenti alti di libertà, non lontani per me da un certo sgomento. E' una angolazione insolita per una persona sana e attiva; ora il malato è in cattedra e ti parla: supino, nel silenzio ti dice tutta la sua e la tua realtà attuale, nuda, concreta, alla luce delle cose ultime.
"Il malato terminale è persona capace non solo di ricevere dagli altri, ma anche di dare..", è vero, nel suo stesso ricevere ti dona qualcosa. Guardo Sandro, raramente qualche momento di rabbia, poi la rassegnazione paziente, la semplicità nell'abbandonarsi all'amore di chi lo circonda, il coraggio di lasciarsi amare: ma non è qualcosa di definitivo, ogni giorno la lotta.
Si vive insieme al malato, in te c'è controllo non separazione, e insieme si affronta l'esperienza nuova, o sempre uguale. Esperienza crudele per Sandro, giorno per giorno la sua vita che si ritira, irrevocabile, senza fretta. Questo dolore aggredisce anche te, devi misurare con intelligenza le tue forze, perché qui il tempo è lungo; però non abituarti al malato, sarebbe come abituarsi a vivere.
In mezzo a questo mare di sofferenze, di sfacelo, sento una presenza che non ha confini, che non comprendo a fondo, più grande del dolore e del pianto. Mio Dio non mi è possibile capire, ma ti credo, con fiducia ti aspetto: anche per Sandro dopo questo buio la grande luce.
(continua)

mercoledì 17 giugno 2009

Guardare il mondo

Si susseguono notizie allarmanti di conflitti, di corruzione, di ingiustizie rivestite di legalità ( però non tutto ciò che è legale è anche lecito ), si innalza la soglia della paura, della povertà a livello globale o in chi ti è accanto. Ci si può persino assuefare a vedere ed ascoltare il peggio.
Eppure sento il bisogno di guardare il mondo con bontà.
La bontà appartiene a Dio soltanto, ma si fa conoscere al mondo dalle scelte che l'uomo opera nella realtà del quotidiano.
"Bontà" poi, è una famiglia di parole, di modi di essere e di sentire. E' simpatia anche senza riscontro, rispetto e comprensione, è partecipare al dolore e sperare e saper attendere, è gioire di ogni gioia buona, gioia che è gioia da sempre, è libertà, determinazione e fedeltà al bene, è misericordia, dolcezza e perdono, è infinito, diluvio e arcobaleno, è amore e morte e vita per sempre....
La bontà di ognuno di noi nel quotidiano, soltanto una piccola luce della bontà di Dio..è annuncio, forse preghiera.
Insieme ad altri, a molti....sento il bisogno di guardare il mondo con bontà.

domenica 7 giugno 2009

Incontro un nuovo malato (2° di Quaderno di Lavoro)

Marzo
Appuntamento alle quattro e mezza. L'infermiera è puntuale; un caffè insieme poi qualche parola ancora, per saperne di più. Entriamo.
E' gente affabile, semplice. La stanza risulta subito stretta, qualcuno deve rimanere in piedi. Letti, armadi, mobili, la tele, sul comò tante medicine. Lui steso di schiena, oppresso dalla sua mole, a stento muove testa e braccia, i lineamenti sottili del viso persi in un gonfiore che cancella la forma del collo. Mani e gambe esili. L'immobilità e la conformazione attuale del corpo rendono problematica la raccolta delle urine. Spesso è scoperto.
Ci sono altre stanze, ma in questa batte il cuore della famiglia: qui in tre passano il giorno e la notte.
Parla la madre, il padre, poi la madre, la madre, il padre: poi la madre, parlano di lui malato, della sua malattia, del "suo" ospedale, dei medici, sanno come lui si sente, come sta, cosa vuole. E' un muro che sale. Eppure troverò il modo per fare breccia. Ora si ascolta soltanto, al più si fa un cenno. Il figlio malato ha 32 anni, anche prima viveva in casa. Vorrei essere nei suoi pensieri, come me ascolta in silenzio, ma lui per la centesima volta.
Penso ai genitori così stanchi, alla loro necessità di parlare in continuazione, a questa affettuosa inconscia violenza. Giorno e notte, pesantissimo lo stress che sopportano, forse per questo non si rendono conto che si ha bisogno anche di stare zitti. Ma il silenzio ti è amico se sai da dove viene e dove riporlo in te; forse a loro porta ricordi ora insostenibili, forse racconta già un domani col quale non hanno ancora fatto pace. Sei davanti alla sofferenza, davanti a un mistero; vorresti essere capace di un' umiltà più profonda, sono io a dover etare zitto qui ad ascoltare soltanto. Questa gente ti affascina, in un lampo di tempo ti insegna la vita, le vuoi bene, anche se a tratti la vedi guardinga, quasi gelosa del proprio dolore. Ti ritrai, aspetti, è l'intimità dell'anima.
Il telefono. Ne intuisco immediatamente la preziosità: la signora si avvia verso un'altra stanza per riapondere e ..."risponderà" per oltre venti minuti.
Caro Sandro, così ho avuto la sorpresa della tua voce inaspettatamente argentina. Mi hai accennato alle tue esperienze di questi ultimi quattro anni, al volto che il tumore ti aveva deformato e che ora, dopo l'intervento al capo, si è un po' ricomposto. Tu sai tutto della tua malattia ma, a parte quella, mi dici che il tuo corpo è sano e non capisci perchè adesso le gambe non si muovono più. Poi il discorso scivola sulle colline piacentine, sugli allevamenti, sulla scelta del nucleare, la disoccupazione in Europa, i tuoi studi; tutti e due abbiamo bisogno di ascolarci. Una carrellata a briglie sciolte, con un papà che tentava di intervenire ma che avvertiva il piacere di vederti tanto infervorato nel discorso. La telefonata è finita. La mamma è contenta perchè ti vede quasi sorridere, mentre parlava sentiva il tono vivace della tua voce. Sono le 7 e dieci. Devo andare.
Cammino verso casa: lampeggia un semaforo, la gente, le vetrine come al solito. Tutto è faticoso e incerto: i suoi occhi, le sue chiusure improvvise, ciò che non dice mi resta dentro.
( Continua )

mercoledì 3 giugno 2009

Bus 90

Sono sulla 90, tutto tranquillo, corsia preferenziale, è l'ora del rientro a casa. Una voce in breve si distingue, prevale sulle altre, una si contrappone, diventa un alterco, i toni si fanno aspri, le parole volgari. Non si capisce cosa sia accaduto.
Un vecchio, seduto e giornale aperto davanti; è "bianco", vestito da "bianco", lo spazio di due sedili più in là un vecchio in piedi all'uscita del bus: è "nero", vestito come può.
Intorno bianchi e neri zitti, siamo allibiti, ferisce vedere due persone unite dalla vecchiaia e il loro reciproco infierire, quegli insulti così affilati appaiono contro natura, ognuno mentre li scaglia e li restituisce, fa a pezzi la propria dignità. Attimi di costernazione e di tensione: zitti a imparare dai vecchi come ci si può odiare. Anch' io sono vecchio. Sono bianco, vestito da bianco.
E' sceso, riemerge il solito brusio del parlare, il calore umano che riscalda.
Anche da bambini, ricordo, c'era violenza, perché è innata nell'uomo. Tutti avevamo la forza di "mollare un pugno in faccia all'altro", prima della forza però dovevi aver maturato nell'animo la decisione di fargli del male: maturare, sì come i frutti, che non maturano in un attimo. Già prima, nel tempo che hai alle spalle, giorno dopo giorno, se lo dai, è maturato quel pugno.
- "..custodisci sopra ogni cosa il tuo cuore, fluisce dal cuore la vita." (Prov.4, 18-23)

martedì 26 maggio 2009

L'età della pensione (1° di Quaderno di Lavoro)


Appena varcata la soglia dell'età pensionabile, "il riposo", a volte, si riveste di un fantasma: la possibile inutilità della vita. A tratti l'esperienza conosce lo sconforto: ieri al "centro" delle cose, l'agenda fitta di impegni, la conversazione, gli incontri frequenti, forse un certo "prestigio", ora, solo, tra persone al cui mondo non appartengo più. Altri hanno occupato il mio posto e ne sono divenuti il naturale riferimento. Patisci il ridimensionamento delle attività e delle azioni, delle parole ora prive del peso che manifestavano nella società: resti attonito, devi capire che cosa rincorri, che cosa ti è sfuggito di mano. Vorresti ancora agire, fare, invece è l'immobilità,il disorientamento, la noia. L'età della pensione insomma, può farci rischiare lo spavento del vuoto, e non sempre è facile pensare che il vuoto attende da te d'essere colmato. Ti rendi conto che non puoi venire a patti: gli svaghi, lo sport, la cultura, gli hobby, i lavoretti utili, prima devi andare alla radice poi tutto può essere accettato e vissuto positivamente.

Tante opportunità dunque, anche piacevoli e utili, ma insufficienti a soddisfare l'esigenza divenuta ancor più pressante, concluso ormai il lungo percorso professionale della mia vita: aprirmi agli altri in una relazione di pace, di bene, in un amore che per sua natura va condiviso nella concretezza del quotidiano, nella festa come nel turbamento della sofferenza, anche di quella più estrema.
Il quadro che ho tentato di tracciare, può forse azzardare una prima risposta di base alla domanda "perché il volontariato ?". Personalmente la risposta è intimamente intrecciata alla Fede Cristiana, ma non è qui il caso di trattarne. Mi pare importante mettere in luce come ognuno custodisca in sé convinzioni personali, e come la scelta di impegnarsi in un volontariato in linea con queste, divenga la congiunzione naturale tra due stagioni di vita tanto differenti. Eventualità non frequente: offre l'occasione di essere concretamente fedeli alle ragioni di vita che ciascuno ha maturato o ha sempre custodito in sé.
Mi sono avvicinato alla "Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori" in modo del tutto occasionale, attraverso il passa-parola. Ho incontrato Renzo, amico dalla giovinezza, che non vedevo da anni e subito si è riaccesa la scintilla vivissima della prima amicizia. I ricordi del dopo guerra, della "S. Vincenzo alle case minime" di Bruzzano (ora demolite) che frequentavamo insieme: un ghetto, un alveare di "poveri" (il fallimento di certa edilizia popolare). Con le famiglie però si diventava "amici", ma rimaneva in noi un disagio. La povertà degli altri non smette di interpellarci. Renzo mi diceva che ancora adesso vive la stessa sensazione quando, a nome della "Lilt", consegna alle famiglie disagiate dei malati terminali (non più "case minime", semplicemente la nuova povertà) la busta del sussidio mensile. Da qui a farmi spiegare che tipo di volontariato svolgeva, chi è il volontario domiciliare, cosa si intende per accompagnamento di un malato terminale di cancro, i problemi e gli atteggiamenti del malato e dei familiari, il coinvolgimento nel gruppo di volontari cui si partecipa, la presenza della psicologa, i contatti con l'infermiera e l'oncologo, ecc. è stato un tutt'uno.

La sorpresa e la novità di questo nuovo modo di spendere il tempo, ha fatto subito breccia nel mio interesse; però l'adesione è stata ponderata nel tempo e in dialogo con mia moglie Elena. Importante decidere insieme i nostri impegni, e bello condividerli spiritualmente nell'impostazione di vita che ognuno sceglie, pure in settori differenti.

Col tempo affiora la consapevolezza di quanto la gratuità del volontariato abbia favorito anche un'apertura, una libertà rispetto al tipo di rapporti sociali ed economici peculiari nel mondo del lavoro, necessari alla mia famiglia e che mi hanno interessato, ma anche costretto alla inevitabile monotonia di alcuni aspetti ripetitivi e di interessi necessariamente circoscritti.

Quando è iniziato il tempo che si prospettava a mia totale disposizione, si è fatta avanti una considerazione di carattere generale: se la vita è importante, "quale il senso del tempo che mi appartiene?", "quale nuova responsabilità ne scaturisce?", e ho sentito la necessità di mettermi alla ricerca di una mia nuova collocazione, di un modo nuovo di stare con gli altri,...forse, a motivo di quanto ho già accennato, di un modo nuovo di pregare.

Con il pensionamento si entra ufficialmente nella categoria di persone la cui vita, nella considerazione degli altri, è tallonata dalla parola "ormai", che con cortesia ironica si accompagna alla "piccola" falsità di parlarti, anche più in avanti negli anni, di "aspetto giovanile", di "età matura":"vecchio" - "vecchiaia", mai. Chissà se è soltanto cortesia, priva di qualsiasi autodifesa,...ma a chi è più in là negli anni spetta d'essere più comprensivo.

Mi pare di accogliere con serenità il fatto che l'età ridimensiona molte prospettive della vita, lasciando spazio a ciò che maggiormente preme. Ad esempio la dimensione spirituale sembra permettere maggiore comprensione di tutta l'esistenza, e maggior speranza. Il tempo vissuto nel bene (offerto e accolto) passa, non fugge, e resta amico.

Da sei anni ho il privilegio di praticare questo volontariato, e fin che la necessaria attitudine lo consente, l'intenzione è di continuare. Ho tracciato qualche esperienza personale del mio percorso verso il volontariato, semplicemente per presentarmi, prima di offrire agli altri la lettura di questo fascicolo: non vorrei tuttavia banalizzare o enfatizzare il problema di chi dal lavoro è prossimo ad "entrare" nel "suo" tempo libero, o di chi vi è già immerso e, tanto meno, additare il volontariato come "la" soluzione.

"L'età della pensione" è argomento vasto per le reazioni che l'impatto sempre repentino, anche se atteso, opera nella vita di una persona. E' importante coglierne l'aspetto spirituale, che non ritengo però unico. Considerata la complessità del problema, oltre l'aspetto più strettamente personale, non si possono sottovalutare le risorse familiari, affettive e culturali, lo stato di salute, i bisogni autentici ed il livello economico, l'ambiente ecc. occasioni ed aspetti entro i quali si colloca questa esperienza.

Nella singolarità della propria situazione, soltanto ad ogni persona spetta la libertà e la responsabilità di decidere come vivere il tempo della pensione, e talvolta, di sostenere il peso di un contesto concreto che non consente scelte.

domenica 24 maggio 2009

Pensieri estranei

Sono in Comune per una multa, risale a febbraio ma è arrivata soltanto adesso, a fine maggio.

- dico al vigile "non ho trovato copia del verbale sotto il tergicristallo.."
- " L'avranno rubata, sa i ragazzini,...del resto non siamo obbligati."

- " ma almeno un avviso al domicilio per poter controllare subito, a distanza ragionevole di tempo.."
- " Signore, non siamo obbligati."

- "...nessun testimone.."
- " Signore è la Legge, non siamo obbligati."

- dico un po' sfiduciato " allora teoricamente potete inviare multe a volontà, noi non possiamo dire niente e dobbiamo solo pagare !"
- Mi guarda, si stringe nelle spalle e in tono bonario..."in certo senso si.."

- "70 euro, posso pagare qui ?"
- "No al piano di sotto, la cassa è aperta sino alle 16,30."

- "Grazie, buongiorno."
- non penso a un senso di colpa, forse per consolare la mia perplessità "..sa, la Legge è Legge.."

Perfetto, è la verità.
E adesso, perché mi viene in mente Alfano ?

mercoledì 13 maggio 2009

Fatti di ieri e di oggi

A tre mesi dalla morte di Eluana riecheggiano espressioni dure... qualcuno ha ucciso.
Nulla tolgo né aggiungo al mio scritto del 20 aprile scorso su questo blog.

Oggi tento solamente di sondare l'animo con cui Ambrogio, vescovo della mia diocesi nel 4° secolo, ha scritto "..ogni volta che si tratta di uno che è caduto, concedimi di provare compassione e di non rimbrottarlo altezzosamente, ma di gemere e piangere, e così, mentre piango su un altro, io pianga su me stesso." (La penitenza). E' preghiera, formazione cristiana concreta nel quotidiano della mia giornata.
E di altro voglio parlare.

Sabato 9 maggio la signora Pinelli e la signora Calabresi si sono incontrate. Sono felicissimo, ci si può ancora entusiasmare, si può ancora esultare per qualcosa che succede.

Non solo un incontro, un sorriso a cuore aperto, una stretta di mano scambiati, ma un ritrovarsi dopo 40 anni. Qualcuno allora aveva ucciso, e le due donne si confidano che sono passati 40 anni senza rimbrotti, anzi di attesa di questo giorno, scoprono che per 40 anni hanno condiviso inconsapevoli la stessa solitudine, la stessa sofferenza, lo stesso desiderio di conoscersi e di abbracciarsi.

Quel "filo rosso" che le divideva l'abbiamo creato noi, la società in cui viviamo, noi per tanti anni le abbiamo tenute lontane l'una dall'altra.

domenica 10 maggio 2009

QUADERNO DI LAVORO

Q U A D E R N O d i L A V O R O


di
Luigi Covini e Luca Erizzo
Volontari domiciliari LILT
Sez. Provinciale di Milano
"Non lasciare solo un uomo con la sua morte"
(E. Levinas)
Mi sembra bello prima di iniziare a trascrivere il Quaderno, offrire ospitalità alle parole di una persona amica. Abbiamo fatto strada insieme, a volte con divergenza di vedute ma sempre in sincero reciproco ascolto. Come il suo solito parole scolpite, sobrie, nulla in più.
" Colloqui, incontri, riflessioni; questo il filo rosso che lega le pagine del Quaderno di Lavoro.
- Colloqui come dialogo con l'altro, che in questo caso veste i panni di un malato terminale e che si concretizza, di volta in volta, in un nome, in un viso, in uno sguardo, in un corpo, in uno spazio e in parole che dicono chi è e chi siamo, che parlano della vita, delle speranze e dei valori che ci conducono nell'esistenza.
- Colloqui come dialogo con stessi, con quella parte di noi che ci interroga sul senso e sul significato da attribuire a scelte, professionali e non, e che per fortuna non trova mai una risposta definitiva ma si arricchisce di giorno in giorno di una nuova umanità, di un sentire più attento e rispettoso dell'unicità dell'altro, del "diverso da noi".
- Incontri come possibilità di creare un tempo e uno spazio, reali ma soprattutto interiori, perché l'altro possa svelarsi, per quel che ritiene di poter fare, con tempi e modi che gli siano confacenti, tempi e modi che permettono a chi gli sta accanto di accoglierlo senza fretta, con partecipazione e sensibilità.
- Incontri come terreno in cui riconoscere quanto ci accomuna con l'altro- banalmente, di "cuore", "carne", e dello stesso destino comune sono fatti tutti gli uomini- e come questo "quantum" comune prende forma e corpo, diventa unico nell'altro e in noi stessi.
- Incontri come terreno in cui poter sostare, semplicemente stare, disponibili a farci raggiungere dalle impressioni, dalle emozioni che l'altro suscita in noi.
- Riflessioni come opportunità di ripercorrere, col pensiero e col ricordo, il breve tratto di strada percorso insieme, di apprezzarne il valore, di custodirne il segreto, per far sì che possa diventare terreno fecondo per un nuovo incontro.
Lucia Floridia
Psicologa consulente Lilt
Sez. Prov. Milano
= . =
Una esperienza nuova, i miei malati, l'imprevisto o un semplice evento, possono offrire motivo di riflessione, e butto liberamente nel computer le parole come vengono. "Pensieri rari e limitati" è il titolo che ho dato al file: è il nuovo cassettone che ha sostituito quello delle vecchie case, si ripone tutto ciò che al momento non serve, ma che non si vuole buttare perché in qualche modo lo si porta nel cuore. Poi, nei momenti di quiete, ci si siede accanto e si attingono i ricordi messi alla rinfusa, e comincia la cernita secondo l'argomento che preme: ho ritrovato, ho scartato, ho suddiviso; ho riscritto, perché intanto altra vita, altre esperienze si erano posate su quei "Pensieri rari", e allora li ho rielaborati nel tentativo, per me impossibile, di formularli in un senso compiuto, o almeno più esteso.....ma mi accorgo che i miei pensieri sono rimasti "limitati".
Il nome del mio file lo conservo intatto, è il più appropriato. Devo ammettere che mi è utilissimo ripercorrere il modo in cui sono state vissute (da me e dagli altri) le esperienze che mi hanno arricchito; la vita vissuta e condivisa è un punto fermo di riferimento, un tracciato che privilegia il confronto e la discussione, naturalmente a patto di ricollocarla nella diversità del contesto attuale e confrontarne i contenuti essenziali. Questo Quaderno propone una raccolta semplice di riflessioni e di comportamenti assolutamente personali (perciò contestabili), di un volontario domiciliare.
Quale ruolo può svolgere il volontario accanto alla persona che si avvia verso la morte ?
Vedo malati approdare a situazioni estreme come a un mondo del tutto inatteso, stupiti, privi di motivazioni che diano un senso a ciò che sta accadendo. La vita può scorrere nella "normalità" di un quotidiano che esclude l'idea della fine. Ma la domanda prima ignorata rimane sempre in agguato :
"Perché ?".
Propongo questo quaderno come contributo a partecipare risposte, per quanto imparziali e incomplete; è un invito rivolto agli amici volontari ad aggiungere pagina a pagina.
Luigi Covini
P.S.= Ringrazio le molte persone che mi hanno aiutato ad approfondire (nel limite che mi è concesso) gli argomenti trattati, e colgo l'occasione per manifestare il mio affetto e la mia gratitudine alle amiche e agli amici dell'Unità di Cure Palliative della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori - Sez. Milanese, nella quale ho operato.
Ringrazio l'amico Luigi per avermi offerto da leggere in anteprima i suoi appunti,e di avermi chiesto osservazioni e commenti, che egli ha voluto gentilmente aggiungere al suo testo; spero che siano stimolo agli altri colleghi del nostro lavoro per partecipare anch' essi a questo quaderno.
Luca Erizzo

venerdì 8 maggio 2009

Presentazione del QUADERNO di LAVORO

Nel breve profilo di apertura di questo blog, ho annunciato di essermi occupato dei malati terminali. La mia scelta trova ragione nel rapporto diretto con la persona del malato terminale, cioè nello stargli accanto per il tempo che resta della sua esistenza
Ho scritto di malati e di riflesso anche di me: impossibile diversamente, al loro fianco cambi, diventi qualcuno che non eri prima. Anche la preghiera cambia.

Non so perché ho cominciato a scrivere, era un bisogno, di certo ho scritto per me non per gli altri: l'intento non era "raccontare storie", ma parlare di donne e uomini alle prese con esperienze inattese, definitive nella loro attualità, dentro le famiglie, dentro gli intrecci di vita.

Ho scritto per avere la possibilità di rileggere, di verificare i fatti, il pensiero e le sensazioni del vissuto recente, per approfondire. Ed anche perché è liberazione da un peso che hai dentro, è aiuto a riordinare la consapevolezza di una situazione, a riappropriarti della serenità interiore che il malato attende da te, come dono prezioso.
Il Quaderno, arricchito dalla collaborazione del collega e amico Luca, abbraccia un arco di tempo (12-13 anni) che può considerarsi storico per la svolta epocale impressa all'assistenza del malato terminale dalle nuove terapie della Scienza delle Cure Palliative, e dalla realizzazione di strutture pubbliche e private di accoglienza dei malati (H0spices).
Dopo aver attraversato questa esperienza e averne sintetizzato i contenuti per me più significativi, ho scelto di aprire la condivisione di pensieri e di emozioni a tutto il resto della esperienza quotidiana. Il blog mi appare strada privilegiata in quanto permette a chiunque di scrivere e comunicare con facilità, in un clima di libertà rispettosa e responsabile, il proprio contributo di esperienza, il proprio commento favorevole o contrario a quanto ha letto.
Il Quaderno di Lavoro potrebbe allora rappresentare punto di incontro, di condivisione o di contrasto ma sempre di approfondimento e di intesa spirituale, appunto diventare un Quaderno di Lavoro comune,partecipato a coloro che si sono interessati o hanno inviato un commento.
A tutti, anche a chi esprimesse posizioni che personalmente non sostengo, darò il mio benvenuto per la cortesia di avermi letto e visitato. Con questo intendimento riporterò (fedelmente, cioè come ho scritto ogni giorno) il testo del "Quaderno di Lavoro", alternandone tuttavia gli articoli a quelli della quotidianità.


giovedì 30 aprile 2009

Due sguardi


L'ultima degli otto. Capita a volte che ci fissiamo, lei in silenzio, le parlo. Nel suo silenzio, nel suo sguardo la maestà inconfutabile dell'innocenza, non c'è timore, "non può accadere che l'amore si interrompa".
Scintilla,è il nome segreto tra lei e me da quando era piccolissima, ma ancora non lo conosce, è un folletto di vita, di novità, qualche riserva per la schiena dei nonni. Scintilla, sino a sfinirti, fino a sperare un po' di riposo e appena partita a sperare di riaverla presto. Improvvisamente lascia i giochi, corre, si abbarbica alle mie gambe: poche coccole poi via di nuovo, ma è sempre il suo sguardo a imprigionare.

Occhi belli, invincibili, spalancati all'innocenza, mi fissano sereni. Lo sguardo limpido di una bambina non inizia nei suoi occhi e neppure si esaurisce nei tuoi, viene da e va oltre. Ogni volta è annuncio, richiesta di fedeltà; innamora e disorienta, se sai ascoltarlo da quelle parti è vicino il confine di Dio. Un dono, una speranza che si dilata oltre.

Però fra i riccioli di questi "piccoli angeli" qualche diavoletto, da latte anche lui come i denti, c'è e punge.

L'anno dopo ancora dai nonni per dieci giorni. Luglio in montagna. Un anno in più, è un pochino cambiata. Anche il nonno quest'anno, un po' stanco. In casa un giorno l'ho ripresa, ma ho esagerato nel tono della voce, nella durezza dell'espressione e tutto è accaduto in un lampo.

Si è fatta seria, ho visto i suoi occhi ancora spalancati ma sorpresi, poi dilatarsi increduli e subito contrarsi, farsi piccoli, scuri, occhi spaventati, ormai di paura. Piange forte, giù dalla panca e di corsa dalla nonna. In fondo al corridoio fratellino e nonna in piedi, sorpresi, muti.

Sono allibito, proprio a lei "è accaduto" ciò che "non può accadere" e...proprio io.., ma non ho tempo di pensare a me. A passi calmi in camera, la chiamo con particolare dolcezza, con il suo nome vero, le accarezzo i capelli,...."vieni col nonno a fare un gioco bello ?". Subito fa sì col capo, non piange più e alza la piccola mano a incontrare la mia, e insieme, insieme camminiamo ancora.

Ritagliare quadratini da cartoni di colore diverso, sceglierne uno dalla ciotola e appoggiarlo al foglio bianco e tenerlo fisso con un ditino; la mano libera afferra la lista sottile di scotch che il nonno le porge e incolla. Poi un altro e ancora. Adesso stiamo decidendo che cosa comporre di nuovo, il bosco, il mare, una casa... occhi belli, invincibili, spalancati all'innocenza....un foglio l'ho conservato, è appeso qui al muro vicino alla mia scrivania.

Per mesi ho sofferto. Ho fiducia che Scintilla e fratellino sapranno andare oltre lo sbaglio del nonno.

Non dimentico i "due sguardi", ma è il primo a occuparmi il cuore e l'anima, quello del bene, quello vicino al confine di Dio, è da lì che, ormai adulti, i miei nipotini leggendo queste parole scritte dal nonno, sorrideranno affettuosi.

E dovunque io sia, ci vorremo bene.

lunedì 20 aprile 2009

Settimana Santa


La Settimana Santa pone molte domande esistenziali, tra queste una di base: tu credi ?

Nessuno può rivolgere parola al Signore se non l'ha prima ricevuta da Lui, forse in modo inconsapevole, a volte in un'esperienza più viva. Quando ciò accade mi pongo in ascolto della "mia" preghiera prima di esprimerla, a volte correggo il mio primo pensiero, l'atteggiamento dell'animo, soltanto dopo la presento. E mi domando se posso dirla "mia" o se tutto non sia soltanto presenza, quasi passaggio dello Spirito in ciascuno di noi, nell'animo e nell'intelligenza spirituale di cui ci è stato fatto dono. Resta tuttavia per ognuno il grande spazio della libertà, il discrimine dove contrastare o aderire (fosse soltanto per una fede che non sia solo formale, e che diventa sempre più consapevole nella concretezza del vissuto).

Il richiamo a questa responsabilità di decidere la vita, come una eco alla liturgia lungo il cammino della Settimana Santa, scelta di adesione intima, sincera e libera e perciò vincolante. Scelta inseparabile dall'impegno di fedeltà a Lui, dall'accettazione del suo perdono gratuito.

Tante parole ho ascoltato, da perdizione fino a gloria eterna, ma non è decisione scontata, né facile, e neppure può essere risposta esaustiva ad ogni sofferenza, perché la fede non discende dal dolore, né dalla paura.

In fondo, con parole pacate, di questo si tratta: Un processo pilotato (può accadere anche ai nostri giorni), pareri discordi, inganni, ricatti; comunque un uomo è finito giustiziato, e comunque è finito. Poi all'improvviso il racconto si stravolge, tutto diventa inimmaginabile: è resuscitato ! " e tu, che nel quotidiano del mondo e della tua vita incontri questa contraddizione, l'incomprensibilità di certe esistenze e morti, i grandi scandali, il volume di odio e di rapina di tutto,.....che incontri la capacità di amare e di soffrire e di aiutarsi e di perdonare, di uomini e donne, e di pregare
tu...Credi ?

Ritorna ogni giorno la domanda, anche a chi risponde "si", ed ogni giorno attende risposta.

Gesù, Tu solo puoi dire a ciascuno di noi la verità della sua risposta, da ciascuno di noi accogli ancora la preghiera

"Signore aumenta la nostra fede"

giovedì 9 aprile 2009

Mario Chiesa, 17 anni dopo


Ogni evento, ogni atto esteriore scompare al suo stesso apparire, è passato, eppure qualcosa di invisibile permane in ognuno di noi, ci plasma e nel tempo ci fa ritrovare diversi. La goccia sulla stalagmite scorre e impercettibilmente modifica, scandisce il tempo e crea. Per noi non le gocce, le scelte che operiamo ci modificano, scelta dopo scelta nel bene o nel male (*), ad ogni attimo, scandiscono il tempo e ci modellano come saremo.

Dopo anni per caso ci si rivede. A volte è un abbraccio caldo di gioia, a volte un incontro di occhi che sfidano il viso dell'altro, scrutano le rughe, la stanchezza, il vestito che porti. "Come stai?" e poi nulla. Non scruta se c'è bellezza, gioia sotto le rughe, non coglie un sorriso di fiducia forse nella povertà, dentro il dolore.

Ci si rivede, ma non possiamo illuderci di essere uguali a prima, quel sedimento invisibile si è depositato, siamo mgliori o peggiori, mai uguali.

Il tuo arresto, le tue parole sfrontate, la disonestà pianificata "...qui dobbiamo rubare a manetta...è venuto fuori un casino...non ti preoccupare, ho già trovato la quadra.." (Corriere 2.4.09).

Mi hai dato un grande dolore, mi hai pugnalato la speranza. Di molti, non solo mia. La Legge non ti punirà per questo. E tu ti assolvi ?

In fondo ormai ti volevamo bene. La tua pietra smossa aveva fatto staccare la frana, enorme per l'Italia, l'hanno chiamata "Mani Pulite", ma tu avevi collaborato, restituito il mal tolto, scontato in prigione, insomma eri il simbolo del cittadini riabilitato.

Un altro smarrimento dunque, e tuttavia la speranza ferita non muore ("Più forte della morte è la vita"), io voglio sperare ancora che l'uomo, il mondo, la mia città diventeranno migliori. Potessi però toccare la speranza che si incarna in una pesona, pensarla nello spirito e ammirarla anche negli occhi di un uomo, sentirla viva nella sua voce, in una stretta di mano. In fondo ne hai ancora l'occasione, tu sei un simbolo, e il tempo ti dona ancora la libertà di scegliere il bene o il male, di recuperare il tuo passato nel giudizio che ora ne dai.

Oggi hai mille preoccupazioni, eppure queste non sono divagazioni, non è secondario intrattenersi con sè stessi.

Accusarsi, assolversi ? Davanti a te solo, davanti al Dio in cui credi. Scelta, decisione come tutte, "lascerà in te e in noi qualcosa di invisibile" e ci ritroveremo di nuovo...cambiati.

Ma a tuo favore hai il tempo, quella goccia che cade...e ti sia benefica fratello, ne hai la possibilità, perchè il tempo, se vogliamo, ci è amico.

(*) Custodisci sopra ogni cosa il tuo cuore, fluisce dal cuore la vita (Prov.4, 18-23)

mercoledì 25 marzo 2009

I genitori attendono davanti alla scuola

Giovannino e mio nipote Samuele sono amici, stessa classe alle elementari e all'oratorio, si ritrovano in cortile, qualche volta a casa. Il loro fabbricato di là delle aiuole, lo vedo dalla finestra, c'è occasione di incontro, ci si saluta volentieri, si scambia qualche parola, ci si accompagna.

Da "radio genitori":

Giovannino alla mamma (si riferisce a Elena e me),

- Oggi ho incontrato i nonni di Samuele.
- I nonni quali?
- Quelli che sorridono sempre.

Così ci hanno riferito, la sorpresa divampa in uno scoppio di ilarità, di risa gioiose.

Un bambino gratuitamente ci laurea "Nonni sorridenti"... insolito no? e magnifico!

Caro Giovannino le tue parole sono commoventi per la loro innocenza (questo seduce gli adulti),
ma capaci anche (inconsapevolmente) di ferire chi senza ragione viene escluso. Come sai, Samuele ha altri nonni che però abitano lontano da noi, per questo li incontri di rado e li conosci poco, ma ti assicuro sono tipi allegrissimi e sanno giocare coi bambini. Anche per noi è proprio bello stare in tua compagnia, e ti ringraziamo perché la tua stessa presenza ci aiuta ad essere sereni.

Passa il momento della festa, rimane la quiete dentro. Immagino il parlare serio di un bambino, il tono semplice della sua voce mentre di nuovo pronuncia quelle parole, e tento di capire il dono che abbiamo ricevuto.

Noi tutti insieme, con nonna Tina e nonno Franco, NONNI sempre "a tutto maiuscolo" e sempre cari.

domenica 8 marzo 2009

Ho conosciuto i poveri...


Ho conosciuto i poveri, se è possibile conoscerli tornando la sera nella propria casa e nei sogni della propria famiglia, e l'indomani al ruolo professionale che svolgi e in cui hai prestigio.

Case Minime, già il nome è evocativo, non Popolari, collocate tra il verde della prima campagna e le ultime costruzioni della città. Poi la metropoli si espande, via le Case Minime, lì condomini nuovi, Casa di Cura, macchine parcheggiate. Ero studente allora. Con gli anni la famiglia, la professione, i trasferi menti. Ma il pensiero degli altri, se vuoi, lo porti con te e le parrocchie sono un ottimo punto di riferimento per incontrarli.

Non più il ghetto di periferia, ora sparsi nelle vie abbandonate della città, in case troppo vecchie anche per il ceto medio-basso, i più fortunati nelle Case Popolari. Spesso una povertà tramandata, economia e cultura dell'ambiente in cui sono vissuti da sempre, a volte caduti in miseria a causa di malattia....

Respiravi aria quasi di condiscendenza a una situazione in atto, un senso di appartenenza, il riconoscersi collocati in un livello che diventava il "loro" e conferiva con la pena identità e dignità.
Oggi non si tratta più di casi isolati, per quanto numerosi. La crisi disegna un orizzonte di poveri, un'onda compatta, paurosa che si innalza.

Anche i volti sono cambiati, lavoratrici e lavoratori con una cultura storica del lavoro e dei diritti costituzionali, laureati e precari, impiegati, insegnanti, operai e dirigenti di aziende, generazioni di donne e uomini tutte più giovani di me, e anche tra loro distanziate nell'età. E più struggente di allora la sofferenza, colti di sorpresa nel vortice della globalizzazione, della tecnologia che seleziona, del mercato e delle borse, percepiscono altrove la loro appartenenza e dignità.

I modelli di adattamento a stili di economia più modesta, vissuti dai poveri di allora, sono inattuabili. La "stufetta" con poca legna e poco carbone, le scale salite faticosamente, il locale unico con i servizi esterni sono solo eccezioni a motivo delle strutture stesse in cui viviamo. Il riscaldamento centralizzato, l'ascensore, i nuovi criteri di concepire e costruire le abitazioni, l'aspirazione lecita a possederle fissano impegni ricorrenti di pagamento, tutto "il mondo del benessere" in cui ci muoviamo fa terra bruciata alle spalle di chi non é in grado di pagare rate condominiali, affitto o scadenze dei mutui. Nell'anonimato dei rapporti burocratici e legali l'iniziativa personale del singolo cittadino mirata a ridimensionare i costi nel suo stesso ambito abitativo è improponibile. Ciò che è contrattualizzato impone il pagamento o l'abbandono. E' la paura della povertà di oggi.

Mi rendo conto di aver considerato il problema della povertà in modo molto parziale, nel suo aspetto più appariscente, anche se grave.

Rileggo un mio scritto di 40 anni fa: mi stupisce, un simile mondo è esistito davvero, così lontano dalla realtà di oggi, a volte così contrastante ? Una verità però rimane: quella marea che si innalza è costituita dall'uomo nella sua singolarità, colpito nella sua vita personale dall'ingiustizia della società, l'uomo che vive il dramma solamente suo e la tentazione di chiudersi nella solitudine o di ricorrere alla violenza. Da qui, come allora il bisogno di stare insieme ma con mentalità nuova, in incontri personali e associati di solidarietà, il bisogno di capire insieme come poter continuare giorno per giorno e in quale modo rialzarci.

Ma come è vissuta dentro l'uomo la Crisi, che cosa ha nel cuore e nel pensiero oltre la rabbia, forse oltre il furore della protesta ? La forza del Diritto, della Dignità Offesa sono sufficienti a indicare la via d'uscita, l'apertura a una concezione di vita che sia novità rispetto al passato ?

La stanza del povero (testo scritto 40 anni fa)



La stanza di un povero non é mai una bella stanza. Una stanza può essere tutta la sua casa. Prende le forme e i colori da una storia: ricordi che non danno allegria. Abbandono, spesso poca scuola alle spalle. La malattia e la miseria non profumano mai, ma lì anche il povero fatica a respirare.

Puoi leggere tante parole, qui e altrove, ma se vuoi capire che cos'è la casa di un povero bussa, ci devi entrare. Entra, non avere paura ! Non passa mai nessuno da quella porta. Forse é per questo che i suoi occhi si illuminano se ci vai, anche se non sempre c'è un sorriso.

Ogni povera stanza ti racconta una storia diversa, di un uomo, una donna che sono arrivati sin lì, ma tutte ti raccontano un po' anche la tua storia. Le cose sono terribili quando si mettono a parlare. La tua storia di quando non c'eri, di quando non sapevi, non pensavi, non avevi capito o non avevi voglia; di quando non facevi del male a nessuno, e via via che si snoda la storia del povero, ascolti la tua...una storia che viene forse da lontano, a secondo dell'età che hai: la rivedi e la vorresti diversa.

Qualcuno si è dato appunta mento nella stanza di un povero; gli hanno portato un boccone. Qualcuno gli ha detto "ricordo questa stanza pulita e ordinata, ma ora sei malato, ci permetti di darti una mano ?"

Ha accettato subito e l'indomani la stanza era aperta a disposizione. Lui però era uscito. Ho visto dei giovani da quelle parti. Qualcuno ha pulito. La stanza ha ritrovato una dignità, quasi un'accoglienza: c'erano persino un lenzuolo e una federa. Lui però non è più tornato da allora.

Un ricovero d'urgenza "per grave stato di de nutrizione", il trasferimento da un ospedale all'altro. Se ne è andato. Abitava qui, nelle vie della nostra parrocchia. Mio Dio, non si esce mai soddisfatti da quelle stanze; hai fatto sì, ma non ti sei occupato abbastanza di lui, non te ne sei accorto in tempo, non hai capito, perché hai aspettato tanto !

Più ti metti a frequentare i poveri e più hai bisogno di farti perdonare da tutti, più hai bisogno di Dio, di silenzio, di lasciar fare a Lui. Da giovane ti "sentivi a posto" per via dell' "opera buona": che il Signore mi perdoni anche questo. Vai semplice mente, proprio come un uomo qualsiasi quale sei, ma quasi sacerdote a motivo di chi ti manda, di chi ti chiama al servizio di un'altra Eucarestia: anche questa ti accoglie sempre, ti insegna, ti consiglia, ti attira inesorabilmente nella Sua Carità.

Ma siamo in pochi. Il povero, se vuoi, ha bisogno di te, ma se non vuoi, siccome è povero sarà sicuro ugualmente nella mano di Dio, anche senza di te. Come Lazzaro. Tu piuttosto, non hai bisogno di lui ? Non pretendere almeno questa volta che ti chieda dei soldi ! Molto di più.

Qualcuno chiede di te: vieni, scendi con noi, ferma per un attimo la tua vita, i tuoi pensieri nella stanza di un povero. Non temere, non ti ringrazierò, nessuno lo farà. Non disturberemo la preghiera, né l'intimità che Dio ti vorrà concedere.

sabato 21 febbraio 2009

Non di Eluana



Non di Eluana, delle parole che hanno accompagnato la sua storia voglio parlare, dei titoli scritti, delle verità povere di amore con cui ci siamo percossi e nostro malgrado ancora ci dividono.
La rappresentazione mediatica è culminata nella zuffa dei parlamentari l'attimo successivo all'annuncio del decesso, un vero "assalto".
"..boia, ..cultura della morte... mostruosità disumana... assassinio..." parole che dicono malvagità, esplicita "volontà di arrecare danno", tutte precipitate addosso al signor Englaro e a chi, non rinnegando la fede, poneva domande lecite alla scienza sulla situazione di vita di Eluana, forse ripensava la decisione di Giovanni Paolo II di sospendere per sé le cure, o forse il conforto e lo spavento che può incutere la tecnologia.

Papà (viveva di fede) ormai relegato in una stanzuccia dell'ospedale (1966), a un infermiere che si avvicinava con la siringa, fissandolo gli ha semplicemente detto "..non siate ridicoli!".
Certamente è necessario distinguere le situazioni specifiche dalle impostazioni di carattere generale, riflettere, dialogare, ma con amore. Le parole che ho udito mi hanno disorientato, mi ha amareggiato l'asprezza dei nuovi rapporti. Ancora oggi non so cosa avrei fatto al posto del signor Englaro, non escludo che il dolore debba essere accettato nella vita dell'uomo ( lo accetto con rispetto e con timore) e forse, in chi tenta di avere fede, può fondersi nell'amore (Beati coloro che soffrono..), ma non rinuncio a interrogare la scienza e la tecnologia proprio perché siamo tutti impreparati a governarle moralmente e instillano il dubbio di aver smarrito il senso della morte (e della vita).

E se a papà fosse stato inserito il sondino ?

Non dubito della buona fede di chi ha inteso annunciare "la verità cristiana", Gesù però l'ha sintetizzata dicendo
Io sono la via, la verità, la vita.
Allora vedo una verità in fila con noi peccatori al Giordano, una verità che annuncia il Regno mentre perdona, guarisce, consola, a tutti infonde speranza nel salire lei stessa in Croce, e comprendo che non esiste verità separata dall'amore.

Perché chiudersi agli altri, donne e uomini di pensiero non solo scienziati, quando fermi nella stessa fede si confrontano su posizioni divergenti ? La Chiesa nella storia non si é forse ricreduta con grande giovamento su ciò che successivamente ai suoi "primi principi" è apparso poi evidente e non ha intaccato l'essenza della rivelazione ?
L'informazione può fare cultura e spronare un modo di relazionarsi più responsabile nella società, può essere stimolo ad una consapevolezza più matura di fronte alla Fede.

venerdì 30 gennaio 2009

Neve e mare

Dopo giorni di neve a Milano é una fortuna ritrovarsi qui al mare. Il clima é freddo non rigido e poco alla volta la tensione della città lontana si assopisce, è svanita. In compagnia di mia moglie Elena mi godo anima e corpo la luminosità dell'aria, la quiete, il tepore della casa.

Poso il libro sul tavolo, qualche passo e distanzio i vetri della finestra, poco più che una fessura eppure è già più luce più colore nella stanza. Riprendo in mano il libro, appena un attimo, la finestra mi attrae ancora, ci ritorno e la spalanco. Seduto, sto a fissare. Il suo rettangolo é diventato cornice all'azzurro, una linea orizzontale divide l'intensità dei colori, una linea soltanto ma è importante. Pomeriggio avanzato, bisogna chiudere, anche il giorno si posa.

La bellezza rimane inviolata non puoi appropriartene, resta là,la puoi vedere, rivivere nella memoria e nell'animo e gioire, ma c'è distanza incolmabile tra te e lei, come in tutte le cose belle, puoi persino possederle ma non la loro bellezza. Però alcuni, la bellezza neppure possono vederla come invece è accaduto oggi a me, né l'hanno mai potuta vedere, tranne quella che hanno dentro nell'animo perché abita la loro casa. La bellezza degli altri o la tua, quella che ognuno può regalare, occhi che sorridono o che piangono, allegri o tristi, occhi appena accesi o che si stanno spegnendo...eppure, se vuoi, se sai leggerli, anche quelli possono essere gli occhi della grande bellezza.

Si fa cena. Conversiamo del più e del meno, poi la tele per sentire come vanno le cose. Si aprono altre finestre.

Recessione, banche e industrie barcollanti, Eluana Englaro, la "quarta" settimana, ma oggi soprattutto la tregua in Medioriente. Nel silenzio della nuova "normalità" emerge l'orrore di ciò che é stato, e una scintilla di speranza.

1943. Il suono delle sirene desta dal sonno nella notte, tutte le famiglie del fabbricato scendono in fretta le scale, tre rampe per piano, tutti in cantina nel ricovero. Ero bambino e mi è rimasto negli occhi il fabbricato di fronte, le colonne di fuoco che uscivano da quelle finestre, ricordo gli sguardi che si scambiavano i grandi. La mia famiglia é sfollata. Sul Corriere della Sera (8-8-43) la foto della mia casa bombardata alcuni mesi più tardi, detriti e travi a terra. Svetta un muro divisorio privato degli ultimi piani, sei comignoli allineati in coppia là in alto, la distanza della solitudine, dell' inutilità, finestre vuote che danno sul vuoto. Da trattenere il fiato.

Memorie per tentare di condividere più a fondo le tragedie di popoli, di singoli uomini e donne di oggi, nessuna presunzione però di poterle comprendere, il dolore lo conosci quando lo vivi e neppure allora sai penetrarne il senso.

Domani riaprirò la finestra sul mare e contemplerò la bellezza.

Domani e ogni giorno una preghiera. Ma Dio a nessuno toglie la libertà di scegliere il bene o di scegliere il male.

giovedì 29 gennaio 2009

Due parole sulla canzone di De André



Questa canzone trasmette l'ansia vissuta da Piero, una questione di attimi, pochi per decidere, e Piero non spara o forse un solo colpo. Il nemico é uno come lui, lo distingue la divisa, soltanto qualcosa di esterno. Anche per lui una questione di attimi.

Bellissima tutta la canzone, le immagini, l'immediatezza, il ritmo, la voce. Ogni brano é da ripensare, come ad esempio la singolarità della rosa e del tulipano che svaniscono nella immensità del rosso abbagliante di "mille papaveri", oppure come il sogno e lo slancio e il sorriso della vita nella lucentezza, nel guizzo dei "lucci argentati" cui si contrappone improvvisa e terribile l'immagine della guerra, i "cadaveri dei soldati". L'autore li riveste di dignità e onore, non trascinati non sospinti in modo scomposto dalla corrente, "portati in braccio".

Una continua metafora della vita e della morte, dell'amore e dell'odio che permette come sempre interpretazioni personali. Una composizione dal valore poetico e artistico, descrive temi essenziali proponendoli nell'attualità con potenza incisiva.

Non possiedo una preparazione sufficiente ad affrontarne la critica, tuttavia penso che sarebbe interessante conoscere le differenti interpretazioni che altri possono dare, per scoprire nuovi significati, per gustare più a fondo questa "piccola" opera d'arte.

De André racconta in modo franco, quasi con rabbia il coinvolgimento "obbligato", i condizionamenti, l'aggressività della paura e della morte, una storia tra due soldati: uno lo conosco, ha nome Piero, l'altro rimane sconosciuto, é "in fondo alla valle" nella medesima situazione, diversa soltanto la divisa.

Dunque si parla di fatti immaginati ma concreti con parole coraggiose, con una franchezza che non ho mai avuto occasione di incontrare nelle persone che mi hanno raccontato la loro storia di guerra, della guerra vera combattuta in Africa, in Grecia, in Russia, in Italia, fascista o partigiano...situazioni incredibili, differenti anche secondo la latitudine, paurose..ma nessuno che abbia trovato il coraggio di dirmi "..io ho ucciso".

Una eccezione però é dovuta. Ho conosciuto un ragioniere, dirigente nel settore assicurativo dell'ufficio assunzione rischi industriali, persona che ho sempre stimato, accogliente, affabile, capace ed essenziale nel tratto e nella professione. Ha "fatto la Russia". Muto su questo, impenetrabile, mai pronunciato parola, non un cenno, un lamento,un'allusione, con nessuno. Un silenzio non ostentato, anzi custodito, dignitoso e forte.

Ti guardo e sento affetto per te, e ti ringrazio. Caro amico anch'io non conoscerò "mai" la tua storia di alpino, ma la considerazione che ho di te mi fa pensare che porti nel cuore il peso della tragedia di un popolo che fin da allora non voleva la guerra. Nel tuo silenzio ci sono anch'io, forse siamo molti, anche noi in silenzio, estranei eppure presenti fra quei ricordi che solo tu conosci, insieme perché tutto questo appartiene anche a noi. Poi l'età avanzata aggiunge cose nuove, nuovi modi di sentire e di vivere: il perdono e la speranza.

Rileggo e mi accorgo che non mi hai detto se hai ucciso, forse a nessuno é facile dirlo, ma ora la domanda ha perso interesse. Il tuo silenzio mi ha detto di più.