domenica 8 marzo 2009

Ho conosciuto i poveri...


Ho conosciuto i poveri, se è possibile conoscerli tornando la sera nella propria casa e nei sogni della propria famiglia, e l'indomani al ruolo professionale che svolgi e in cui hai prestigio.

Case Minime, già il nome è evocativo, non Popolari, collocate tra il verde della prima campagna e le ultime costruzioni della città. Poi la metropoli si espande, via le Case Minime, lì condomini nuovi, Casa di Cura, macchine parcheggiate. Ero studente allora. Con gli anni la famiglia, la professione, i trasferi menti. Ma il pensiero degli altri, se vuoi, lo porti con te e le parrocchie sono un ottimo punto di riferimento per incontrarli.

Non più il ghetto di periferia, ora sparsi nelle vie abbandonate della città, in case troppo vecchie anche per il ceto medio-basso, i più fortunati nelle Case Popolari. Spesso una povertà tramandata, economia e cultura dell'ambiente in cui sono vissuti da sempre, a volte caduti in miseria a causa di malattia....

Respiravi aria quasi di condiscendenza a una situazione in atto, un senso di appartenenza, il riconoscersi collocati in un livello che diventava il "loro" e conferiva con la pena identità e dignità.
Oggi non si tratta più di casi isolati, per quanto numerosi. La crisi disegna un orizzonte di poveri, un'onda compatta, paurosa che si innalza.

Anche i volti sono cambiati, lavoratrici e lavoratori con una cultura storica del lavoro e dei diritti costituzionali, laureati e precari, impiegati, insegnanti, operai e dirigenti di aziende, generazioni di donne e uomini tutte più giovani di me, e anche tra loro distanziate nell'età. E più struggente di allora la sofferenza, colti di sorpresa nel vortice della globalizzazione, della tecnologia che seleziona, del mercato e delle borse, percepiscono altrove la loro appartenenza e dignità.

I modelli di adattamento a stili di economia più modesta, vissuti dai poveri di allora, sono inattuabili. La "stufetta" con poca legna e poco carbone, le scale salite faticosamente, il locale unico con i servizi esterni sono solo eccezioni a motivo delle strutture stesse in cui viviamo. Il riscaldamento centralizzato, l'ascensore, i nuovi criteri di concepire e costruire le abitazioni, l'aspirazione lecita a possederle fissano impegni ricorrenti di pagamento, tutto "il mondo del benessere" in cui ci muoviamo fa terra bruciata alle spalle di chi non é in grado di pagare rate condominiali, affitto o scadenze dei mutui. Nell'anonimato dei rapporti burocratici e legali l'iniziativa personale del singolo cittadino mirata a ridimensionare i costi nel suo stesso ambito abitativo è improponibile. Ciò che è contrattualizzato impone il pagamento o l'abbandono. E' la paura della povertà di oggi.

Mi rendo conto di aver considerato il problema della povertà in modo molto parziale, nel suo aspetto più appariscente, anche se grave.

Rileggo un mio scritto di 40 anni fa: mi stupisce, un simile mondo è esistito davvero, così lontano dalla realtà di oggi, a volte così contrastante ? Una verità però rimane: quella marea che si innalza è costituita dall'uomo nella sua singolarità, colpito nella sua vita personale dall'ingiustizia della società, l'uomo che vive il dramma solamente suo e la tentazione di chiudersi nella solitudine o di ricorrere alla violenza. Da qui, come allora il bisogno di stare insieme ma con mentalità nuova, in incontri personali e associati di solidarietà, il bisogno di capire insieme come poter continuare giorno per giorno e in quale modo rialzarci.

Ma come è vissuta dentro l'uomo la Crisi, che cosa ha nel cuore e nel pensiero oltre la rabbia, forse oltre il furore della protesta ? La forza del Diritto, della Dignità Offesa sono sufficienti a indicare la via d'uscita, l'apertura a una concezione di vita che sia novità rispetto al passato ?

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