lunedì 28 marzo 2011

La morte di un uomo dal punto di vista naturale (36* di Q. di L.) (segue 35*)

* " In realtà la morte non tace, soltanto non ci dà risposte e pone le sue parole sulla bocca di chi sta per morire."

Quante volte le abbiamo ascoltate dai nostri malati. Noi volontari siamo testimoni delle loro domande sommesse: "Perché?" come un sussurro, amaro alla fine, quasi un grido per chi l'ascolta. Perché? A me doveva capitare? A cosa m'è servito? Che senso ha? Proprio adesso?

* " Le domande che non sono emerse lungo la vita le impone oggi con autorità la morte. Certo, la morte interroga soltanto non dà risposte. A noi è concessa e richiesta una scelta di valori, a qualunque sfera essi appartengano, che si maturano lungo la vita. Scelta di senso dunque, ricerca cauta e coraggiosa: perché l'interpretazione che l'uomo dà della sua morte è suscettibile anche di una risposta tragica: quella di dare alla vita un non senso. E' l'appiattimento, il livellamento alla banalità del quotidiano; spariscono i sogni più belli, i progetti, le speranze, le grandi utopie...:è la disperazione, se tutto si sfascia, tutto finisce perché e come vivere?"

A uno sguardo superficiale possono sembrare considerazioni astratte, mentre sono estremamante concrete: qui si innestano in modo appropriato problemi importanti come quello dell'eutanasia (prima di essere una richiesta di morte è quasi sempre una richiesta di senso), dell'accanimento terapeutico, quello del suicidio, dell'aborto, o più semplicemente del comportamento disinvolto con cui frequentemente si mette in gioco la vita.

Fin qui il tentativo di considerare alla sola luce della ragione la certezza della morte dell'uomo, lo sforzo di non relegarne il concetto alla "morte degli altri". A mio avviso queste sono le premesse naturali che tracciano il quadro nel quale si disegna ogni vita: mi premeva recuperare un senso naturale della morte perché è condivisibile da ogni uomo, qualunque ideologia o fede professi; perché prepara ad accettarla e perché prenderne coscienza predispone ad ogni successiva elaborazione, anche di carattere spirituale e religioso.

Vorrei contribuire a "smitizzare" l'idea della morte, spogliarla dei fantasmi che spesso l'accompagnano, vorrei saperla pensare nel modo più vero e più semplice, senza nulla togliere alla sua severità e alla sua importanza, senza nulla aggiungere al suo limite, al suo vuoto.

Insieme siamo arrivati alla soglia delle grandi scelte: da qui ognuno, in modo autonomo e responsabile può iniziare il cammino impegnativo delle ricerca di senso, dei vaolori e della realtà spirituale a cui orientare la vita. Ho iniziato a parlare della morte e mi sorprendo a parlare della vita, a pensarla in modo estremamente impegnativo, la vita concreta che ci sta di fronte, la sua realizzazione. Emerge il bisogno di possedere significati, punti di riferimento forti, capaci di farci sempre più consapevoli delle nostre scelte.

* Enzo Bianchi - Priore di Bose - Conferenza nella Parrocchia di S. Giovanni in Laterano, Milano.
Appunti non visionati dal relatore.

venerdì 25 marzo 2011

La morte di un uomo dal punto di vista naturale (35° di Q. di L. )

( segue 34°)



* "L'uomo che nasce avrà una fine, perciò possiamo dire che la morte è connaturata all'uomo: l'uomo muore semplicemente perché è vivo e dotato di una vita finita, questa è la causa prima della sua morte. Ma parlare della "connaturalità" della morte, dire cioè che è una necessità della natura, non deve portare a nessuna mistificazione o fraintendimento.

Di fronte alla morte, si sente la necessità di tendere ad un equilibrio esistenziale che eviti da un lato l'insensibilità e la superficialità, e dall'altro la tragedia che segni per sempre in modo deleterio, la nostra vita personale o la vita di chi ci sta accanto.

Chi ha assistito un morente sa che si tratta di un equilibrio non facile, perché è violento l'impatto tra la realtà concreta e partecipata del malato vivo, e l'immediatezza della sua immobilità definitiva, di una quiete estranea, sconosciuta alla vita, che nello spazio di un attimo pervade e sigilla il corpo nel momento stesso in cui si disabita. Improvvisamente si manifesta la grande assenza. E' violenta la morte, anche per la sua inafferrabilità. Ci disorienta, ridimensiona in noi l'importanza delle cose grandi e di quelle piccole, l'importanza di quello che pensiamo di essere, di quello che abbiamo; la morte travolge il tempo e la quotidianità. L'uomo è sgomento al pensiero della morte; sa che gli è richiesta una disponibilità permanente a consegnarsi: non esiste una vita tanto importante o tanto protetta da non poter essere interrotta in ogni momento. Per tutta la vita col pensiero ne rimandiamo l'evento, ma quando sopraggiunge la incontriamo soltanto nel presente, nell'adesso, ora e qui, come non avremmo mai pensato. La morte insomma è tra le realtà che l'uomo non può rifiutare né modificare, non ne conosce e non ne controlla tempi e modalità. Sgomenta perché è la nostra esperienza ultima.

Si resta attoniti, stupiti: dove sono finite le emozioni che l'uomo esprimeva, l'intelligenza, il suo pensiero logico, l'umorismo, la sua personalità...che fine hanno fatto? Perché la morte ha aggredito il corpo, ma l'uomo non è soltanto una realtà biologica. Insomma la morte dovrebbe spiegarsi al di là della scienza, invece sta zitta. Proprio questo silenzio spalanca una finestra sull' "oltre" della morte, su ciò che non si può udire né vedere, e forse è bene essere un frequentatore dell'invisibile, un frequentatore attento però. E' la curiosità di scoprire se nelle cose esista un significato che le trascende, e sia possibile guardare avanti per capire il presente. E' un punto di arrivo obbligato e perciò punto di partenza per la riflessione. Ma la morte tace davvero?

La morte esige una scelta di senso da attribuire alla vita, e l'interpretazione che ognuno da della sua morte, del dopo, dà il senso alla sua vita. In altre parole, se sai per che cosa e per chi morire, sai anche per che cosa e per chi vivere."

Queste affermazioni trovano spazio nella nostra esperienza di volontari domiciliari.

( Continua )

lunedì 14 marzo 2011

La morte di un uomo dal punto di vista naturale ( 34° di Q. di L. )

E' normale che la morte susciti apprensione, dolore, paura, perché costituisce un fatto unico nella quotidianità del vivere. A volte però questo disagio sconfina in un rifiuto incondizionato della morte, che ci porta a considerarla qualcosa che accade fuori della norma generale della vita, qualcosa di inammissibile, che mai dovrebbe verificarsi: si evita di parlarne. Ma è bene allontanare ostinatamente il pensiero della morte?

La notizia a volte è brutale: "Ha un tumore, è pieno di metastasi, non c'è più speranza" . Sono situazioni dolorose, spesso indecifrabili. Ma forse il problema di fondo non è solo il tumore. La morte pone domande cui non sempre sappiamo rispondere, e la risposta più comune, più semplice è quella del medico, cioè della scienza: spiega le alterazioni, le modificazioni avvenute nel corpo; le cellule, il cuore, "spiega dove si è guastato il motore"...ma è una risposta che elude il vero problema; la scienza non dice "perché comunque" l'uomo muore. Si intuisce che l'incidente, la malattia non sono la causa prima della morte, ma solo le cause contingenti che la vita incontra per la sua naturale necessità di terminare. Perché ogni vita deve terminare. E' comune l'espressione "dura tutta la vita", e forse il concetto di durata può venirci in aiuto. Tutto ciò che ha una durata ha un inizio e una fine.

( continua )

Considerazioni sulla morte di un uomo ( 33° di Q. di L.)

Nei corsi di preparazione e negli incontri di supervisione ho ascoltato molte parole sul dolore e sulla morte. Poi il contatto coi malati. E' risultato subito chiaro che certi discorsi devono essere interiorizzati, scendere nell'intimo della riflessione: è necessario per me stesso e per poter accompagnare chi è vicino alla fine.

In queste righe voglio partecipare a chi legge, le riflessioni che via via ho maturato nel mio cammino di volontario, anche se la vastità dell'argomento mi dice in partenza quanto siano inadeguate. Si articolano in due ambiti distinti: le considerazioni sulla morte di un uomo prescindendo da ogni fede e ideologia (così spero di saper fare), e l'accompagnamento di un malato terminale vissuto dal volontario in un itinerario di Fede Cristiana.

Sono argomenti importanti e coinvolgenti e vorrei che la conversazione non assumesse toni cupi; è possibile pensare e parlare della morte con serenità e nella pace, anzi questo orientamento favorisce l'obiettività e la semplicità del discorso.

lunedì 7 marzo 2011

Mi ha lasciato ( 32° di Quaderno di Lavoro )

Nel torace un gorgoglio sordo, si espande, si riduce, accompagna il ritmo del respiro. Si affievolisce, si è ritirato lì tra cuore e gola. Il pulsare tenue di una vena sul collo. Immobile.

E' l'attimo più difficile, del dolore più intenso. L'aria, i suoni, le cose, tutto si è fermato, come in sospensione. Non vi è nulla da attendere né da ascoltare, eppure si attende e si ascolta; forse la voce dell'ultimo silenzio, qualche istante soltanto, forse è ancora vita.

Lo so che tante volte siamo stati zitti insieme, ma questo silenzio è irreale, è il mio amico che è diventato silenzio.

Il tempo mi richiama, divide i vivi dai morti. Ora il mio amico mi ha lasciato.
"...nelle tue mani, Signore..."

Nel ricordo la presenza di parenti, amici nella casa del morente; riaffiorano immagini, gesti, voci e silenzi, affetti che sembrano dilatarsi nella sofferenza, parole bisbigliate, sguardi di richiesta e di offerta di amore.

Ma anche altro ricordo. Parole oscene gridate alla Morte. Ho conosciuto chi l'ha offesa per pura superficialità, in un agire sconsiderato sul morente o sulla salma; è l'inutilità, la prevaricazione del "fare". Parole tristi, scenari sconvolgenti, votati al nulla. La Morte non chiede elogi, ma offenderla, prendersi gioco di lei è profanare un mistero.