mercoledì 30 dicembre 2009

Blogger, il mio primo anno

Dopo una lunga, ininterrotta copiatura del Quaderno di Lavoro, provo difficoltà a reinserirmi nel flusso della libera conversazione. Temo di disturbare un discorso avviato da tempo, impegnativo..."per chi lo segue", così devo dire con sana ironia, considerata la "folla di visitatori o lettori" del mio sito. Continuare, interrompere la copiatura del Quaderno (che in effetti prevale sul colloquio aperto ad altri argomenti) ? Potrei rispondere adducendo motivazioni di diversa natura, e insieme incerte, ma è impossibile prevedere sempre le conseguenze delle nostre azioni; scelgo la via più semplice, dico "si", continuo.
Oggi rovistando le mie scartoffie, tra le mani m'è passato un foglio scritto al ritorno di una gita in montagna, quasi 20 anni fa; qualche cancellatura, frasi restaurate che lasciano intravedere la prima scrittura; lo copierò domani, così come l'ho trovato.
Cammino solo, in Alta Val Viola. In modo insolito ne anticipo qualche flash, qualche considerazione. Domani il resto.
E' piacevole per me rileggerlo, rivedo il masso poderoso, tali le dimensioni che il suo roteare sembra lento, alto dal suolo, batte il pendio, rimbalza, colpisce ancora e ad ogni appuntamento col terreno la montagna sussulta. Il suono giunge appena dopo l'immagine.L'ultimo urto, non uno schianto, un tonfo sordo, quasi felpato che ti penetra dentro, vibra più forte il terreno, poi gli attimi appena successivi: si alza un silenzio nuovo, sconosciuto, cui nulla può opporre la valle, il nessuno che ho attorno, vastità statica, non un segno di vita. Attesa.
Il sentiero che trema, la montagna ferita, assistere, ascoltare...immagini, ricordi annidati nel sentire della carne e nel cuore, rileggo e tuttavia ciò che oltre e di più mi sorprende è quel traslare dalla visione di cose concrete e inanimate a una verità superiore che tutto include da sempre, da sempre oltre eppure accanto, velata e insondabile, in apparenza muta. Attesa.
Natale 2009: "Oggi è nato per voi un Salvatore", bambino già fuggiasco, in lontananza una croce.
La festa, la gioia del Natale non si esauriscono nella sfera della propria intimità e neppure in chiesa...mi guardo attorno, mi è difficile, quasi irrispettoso parlare di festa. Tuttavia qualunque sia la nostra storia, il nostro oggi e il futuro che si profila, soltanto da quel sentiero di "verità" possiamo attingere la speranza e il coraggio di attendere " Il Regno".

mercoledì 23 dicembre 2009

Scelgo il mio silenzio ( 9° di Quaderno di Lavoro )

Gli ambienti e le circostanze in cui mi trovo esigono anche il silenzio, a volte suggeriscono come viverlo e gestirlo nel rapporto personale col malato. Tento qualche riflessione.



- C'è il silenzio fuori e il silenzio dentro di me.
- C'è il silenzio del malato e il silenzio del volontario.
- Il silenzio è condizione per l'ascolto; anche per l'ascolto del silenzio dell'altro.
- Devo attenzione e ascolto al silenzio dell'altro.
- Il silenzio è raramente muto.
- Non sempre le parole dicono più del silenzio.
- Vicino al malato il silenzio non è anonimo, rivela significati, stati d'animo, emozioni.
- Il silenzio si qualifica nel modo in cui lo si vive: accoglienza e comunicazione, indifferenza e rifiuto.
- Quando il silenzio è ascolto, cioè accoglienza, porta già in sé un messaggio di consolazione, di pace .
- Devo imparare ad esprimere il mio silenzio; a cogliere l'attimo nel quale devo tacere.
- Nel silenzio assume importanza lo sguardo.
- Vi è il silenzio delle lunghe pause: il malato si sente a proprio agio nella quiete del volontario.
- Quando il silenzio si fa pesante da sopportare, a volte si dicono parole vuote. Sono parole a rischio, interrompono il silenzio ma lo fanno precipitare nella estraneità del malato.
- Il silenzio che il malato vive come abbandono è contagioso: per qualche attimo anche il volontario ne fa l'esperienza.
- Il silenzio soffocante può indurre a considerare inutile la presenza del volontario, il fallimento del suo esserci, vicino al malato terminale. Ma il silenzio discreto e portato con sofferenza, ospita sempre un messaggio e un segreto: ciò che vorresti donare e che inconsapevolmente esprimi con tutto te stesso, ciò che del tuo silenzio il malato porterà con sé.
- Il silenzio può essere luogo di solitudine, di sofferenza o di disperazione. Ma il silenzio, anche quello del malato, non va temuto a priori. Il silenzio è necessario all'uomo: può essere tempo di comprensione profonda di sé e della vita, consapevolezza di responsabilità, tempo di scelte.
- Maria, nel silenzio, ha "accompagnato" il Figlio morente sulla Croce.

domenica 20 dicembre 2009

Il malato ricorda ( 8° di Quaderno di Lavoro )

Vi sono ricordi che riaffiorano nella memoria offrono l'occasione di uscire dalla routine della malattia, per rivivere la serenità e la dolcezza di epoche e di avvenimenti particolarmente cari.
A volte però il malato si sofferma in modo troppo ricorrente sulle realtà negative che gli hanno contrastato la vita. Rapporti e fatti ostili, gioie inutilmente attese, la felicità rubata dalle persone e dagli eventi, insomma un passato che ancora lo inquieta. Sente il bisogno di trovare una risposta, una giustificazione all'ansia di oggi per i problemi che gli urgono dentro, oltre la malattia, e spiegare a qualcuno il perché di questa sofferenza che non passa.
Mi intrattiene su ciò che gli è accaduto, descrive situazioni e persone, e senza avvedersene il mio malato mi parla di sé, mi partecipa i movimenti del suo animo; cerco di essere attento al modo in cui rivive oggi il ricordo. Poco importa la ricostruzione fedele dell'esperienza passata, ora vorrei che il suo animo si aprisse non tanto alla speranza di un domani, e neppure ad un futuro oltre la morte, ma "semplicemente" alla pacificazione del suo passato con la vita presente.
Il malato non si attende da me una presenza da pseudo-analista, ma un coinvolgimento vivo, pulsante, e a questo tento di rispondere con semplicità: "ascolto" il racconto con partecipazione e interesse, e ne accetto i contenuti (accettare non è consentire) sforzandomi di non tradire emozioni di disagio o di turbamento ( che più facilmente possono raggiungere se al centro della mia attenzione rimane il malato nel suo modo di vivere oggi il presente di allora ).
Spesso affiorano sensi di colpa, di rimorso o il risentimento verso gli altri. Quest'ultimo atteggiamento per me è il più difficile da affrontare, richiede discernimento e prudenza evitando di schierarsi con giudizi di parte. Quietamente e con affetto, tento di orientare il malato a non combattere il dolore che sta alla radice del risentimento; suggerisco il perdono nei confronti di quelli che nella sua storia contano per lui, perché solo in questo troverebbe la sua pace.
Gli dico che anche per me chiedere perdono e perdonare è duro, ma non vedo altra via se vogliamo che la vita ci ritorni amica.