mercoledì 4 aprile 2012

L'ascolto purificato (52° do Q. di L.)

Non indugio sul senso attribuito convenzionalmente a termini ormai noti, usati correntemente in questo volontariato, come "ascolto", "accompagnamento"..

I corsi preparatori e i successivi incontri di revisione, illustrano al volontario le tante modalità con le quali il malato può esprimere tutto se stesso. Nella pratica poi, è subito chiaro che l'ascolto non si esaurisce in una audizione. Il bisogno del malato di dire ciò che ha dentro, la sua angoscia, la speranza, la fatica di continuare, le sue proteste, invocano la presenza di qualcuno che lo ascolti, ma che dia anche delle risposte. L'ascolto diventa sorgente di colloquio e di relazione, cioè è reciprocità: in questo si pone il seme dell'accompagnamento.

Nella casa del malato, gli argomenti comuni si alternano a discorsi di particolare delicatezza: ognuno di esse predispone, secondo la sua intensità, ad un ascolto differenziato.

Sento gratitudine per i malati che mi hanno accolto al loro fianco; rimane in me nel ricordo, un legame di affetto e il desiderio inappagato di non aver raggiunto a volte una comprensione maggiore.

Per questo, e forse anche a motivo della familiarità con la prassi, capisco che è bene per me una verifica, la ricerca di un ascolto più essenziale: sento il bisogno di purificare l'ascolto. "Puro", assumo l'aggettivo dal linguaggio scientifico, "assenza di ogni entità estranea, pur minima, che ne alteri la natura semplice".

L'ascolto esige dal volontario di prescindere da tutto ciò che lo riguarda a titolo personale, per giungere ad una disponibilità esclusiva, non turbata da altro. Questa libertà permette di creare uno spazio interiore quieto, rispettoso, che invita il malato a raccontarsi fin dove e come vuole e lo aiuta ad ascoltare se stesso.

(continua)

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