domenica 17 febbraio 2013

Il malato accenna alla fede cristiana (Q. di L. 67°)





       ( segue da 66°)
    
       Le parole del malato, le occasioni concrete dello stare insieme, la presenza dello Spirito suggeriscono al volontario lo spunto da cui iniziare il colloquio, anche se a volte ci si sente incapaci di parlare delle certezze cristiane verso le quali ci avviamo. Ascoltare e parlare apertamente della Fede, della consolazione e delle difficoltà che essa comporta, condividere parole e silenzi, gesti e sguardi, anche questo può essere espressione di annuncio nell'attenzione costante a non superare la soglia che l'altro consente. L'apparente fissità del tempo che leggo sul volto del fratello malato, lo sguardo che non mi abbandona,... rasento ciò che è impossibile dire, le parole si fanno più rade. Mi aiuta il silenzio ( il silenzio condiviso è intesa ), mi aiuta la mia povertà che il malato già conosce, e tutto resta umano e fiducioso in Gesù, il Dio fatto uomo, presente ed eterno.

       Tentare di "vivere nel presente" la presenza e l'amicizia gioiosa di Dio insieme al malato nei limiti imposti dalla sofferenza e non escludere la materialità delle cose che ci circondano; l'esserci, il fare, ciò che accade di consueto e di straordinario, tutto  ascolti quasi a conciliare il tempo e l'eterno. Non è negare attenzione al tempo futuro, né astrazione o assenza o estraneità, non è separazione tra corpo e spirito, non eccezionalità ma semplice visione cristiana della vita; è preghiera a vivere l'unicità totalizzante della Fede nel momento in cui ogni evento accade: il presente, tempo in cui la "speranza certa" illumina l'incognita umana del dopo.

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