lunedì 20 giugno 2011

Volontario compagno del malato (43° di Q. di L.)

(Articolo per la parrocchia)


Molti pazienti oncologici raggiungono oggi la guarigione o una terapia di controllo compatibile con la normalità della vita. Altri, nella propria abitazione , sono affidati alle "Unità di Cure Palliative Domiciliari" e il volontario può essere invitato dal personale sanitario, nella distinzione dei ruoli, ad offrire il suo contributo di assistenza. E' subito chiaro che l'aspetto medico, pur importantissimo, non è l'unico motivo di inquietudine.

Col passare dei giorni il malato si accorge di non appartenere più al mondo esterno, che pure era il suo: il lavoro, gli impegni, gli svaghi, le amicizie si rarefanno e presto diventano realtà lontane. I limiti che la malattia impone diventano barriere che isolano. L'affiorare di queste difficoltà, i ricordi rappresentano ogni volta un confronto e un distacco premonitore di "qualcosa" che accadrà, e col pensiero il paziente ripercorre la storia della sua vita, della sua malattia, della sua famiglia; il suo modo di valutare l'esistenza.

Il volontario domiciliare offre la sua disponibilità a rimanere vicino al malato; in modo figurativo si parla di "accompagnamento", cioè di andare insieme, in un contesto semplicemente "umano" non professionale, con il bagaglio spirituale, culturale e psicologico che ognuno porta con , senza imporlo e senza rinunciarvi. Nessuna finzione dunque, nessun secondo fine. "Accompagno", non conduco: è il malato nella sua strada obbligata a decidere la cadenza del passo, l'arrancare o la sosta; a volte si affretta, non sempre è facile tenerne il ritmo. Il volontario non lo abbandona, ha attenzione e affetto anche per la sua famiglia, per le persone che a qualunque titolo gli sono vicine e soffrono solidalmente con lui, o ne sopportano la presenza.

( segue)

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