domenica 25 settembre 2011

Preghiera di un soldato (45° di Q. di L.)


Questa preghiera sembra appartenesse a un soldato americano caduto nella battaglia di Montecassino.

(Da un'altra trincea, forse quella dell'esperienza,  della preghiera anche del mio malato)


Senti Dio, vorrei dirti, come stai?...
Vedi, Dio, mi dicevano che tu non esisti e come uno sciocco vi ho creduto.
Ieri sera da una trincea ho veduto il tuo cielo...ho compreso immediatamente che mi avevano detto una bugia.

Se mi fossi preso la pena di vedere le cose che tu hai creato avrei capito che quelli non chiamavano le cose con il loro nome.

Io mi domando, Dio, se tu vorresti stringermi la mano.
In qualche modo sento che mi capirai.

Strano...  dovevo venire in questo luogo d'inferno per avere il tempo di vedere il tuo volto.

Bene, penso che non vi sia più molto da dire.
Ma sono veramente contento, Dio, di averti incontrato oggi.
Indovino che l'ora zero sarà presto qui: ma non ho paura perché so che tu sei vicino.
Il segnale! Bene, Dio, devo andar via.
Io ti amo molto, molto...questo vorrei che sapessi.

Adesso, vedi, questa lotta sarà orribile...chissà...
 può darsi che io venga stasera a casa tua...

Mi domando, Dio, sebbene prima io non fossi tuo amico
se mi aspetterai alla tua Porta...
Guarda, io piango... verso lacrime... vorrei averti conosciuto
in tutti questi anni...
Ora devo andare, Dio, arrivederci.

Strano... da quando ti ho incontrato
non ho più paura di morire.








2 commenti:

  1. Bellissimo il dialogo di questo soldato americano con Dio. All’altezza di quello di Giobbe con Dio. Giobbe, contro tutto e contro tutti, persino contro Dio (o meglio, quello che gli altri vorrebbero fargli credere che è Dio, un Dio che punisce, che si vendica) non rinuncia a proclamare, a “gridare” la sua innocenza.
    La conclusione ? Giobbe 42.10 : "E Dio ristabilì Giobbe nello stato di prima per aver egli fatto orazione per i suoi”.
    Quindi, non per l’atto di umiltà, ma per l’atto di amore e di perdono verso il suo prossimo.
    Giobbe è ognuno di noi : il giovane che ha studiato e non trova lavoro, il condannato ingiustamente, la vittima di violenze, il disoccupato, chi nasce con grave handicap ed anche i suoi genitori, l’emigrante, il povero, il malato terminale e senza speranza.
    Giobbe è l’uomo che soffre, che accetta sì il dolore, ma non come una punizione. Soffro,certo,e accetto la mia sofferenza.
    Ma non sono colpevole e nessuno mi farà mai chiedere perdono per una colpa che non ho commesso.
    Senza essere credente,trovo che nella parole del soldato di Montecassino e in quelle di Giobbe c’è una tale affermazione della nobiltà indistruttibile dell’uomo, persino nel momento del più totale sfacelo fisico, del più atroce dolore, della più disperata solitudine – che mi aiuta a vivere e ad amare.

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  2. Le sono grato per la sua visita, per le parole nitide e sofferte, per la forza coinvolgente di vivere e amare. Ancora grazie.
    Quanto agli "amici" di Giobbe e alle loro pretese ne incontriamo in ogni età. Trovo interessante l'invito di (*) Roberta de Monicelli (in un contesto di argomentazioni similari) rivolto ai credenti: "Suggerisco ..(di sostituire) la domanda "in cosa crede chi crede" con quest'altra "cosa vede chi vede il mondo consentendo a Dio".
    Un saluto.

    (*)Sullo Spirito e l'ideologia

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