martedì 28 dicembre 2010

La solitudine del malato terminale (27° di Q. di L.)

Il persistere e l'aggravarsi della malattia inducono un senso di disorientamento esistenziale. Il malato avverte l'urgenza di partecipare agli altri l'incomprensibilità, lo stupore e l'angoscia della sua situazione, prima inimmaginabile, ma subito gli è chiaro che non troverà parole adeguate; smisurato il divario tra ogni possibile espressione e la realtà che vive.

" Il male e tutto quello che ho dentro, non riesco a dirlo". Non può esprimere il suo dolore: non c'è misura, non concetto cui potersi riferire, il dolore è davvero inesprimibile. Questa comunicazione negata può sfociare nel silenzio, nell'isolamento; poi nella solitudine in mancanza di possibili riferimenti che trascendano la situazione presente, ad esempio la fede religiosa.

La solitudine va oltre l'isolamento; estranea ad ogni speranza e indifferente all'amore respinge ogni rapporto; una disperazione mesta, è la scelta di "lasciarsi andare". Spesso il paziente manifesta questo suo stato d'animo nella postura che assume: il volto rivolto alla parete, dà di spalle a chi lo assiste. Un silenzio assillante, il volontario vorrebbe intuire l'esperienza della desolazione che gli sta di fronte. Nella mente del malato forse non vi sono volti né cose, solo un abbandono sconfinato; forse la sua stessa identità confusa in un dolore incomprensibile, disperato.

Talvolta ho tentato di confidargli in modo affettuoso ciò che io stesso provavo nella impossibilità della condivisione. E' il limite che ci accomuna, eppure nella mia esperienza, insuperabile.

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