domenica 15 maggio 2011

L'accompagnamento vissuto dal volontario in un itinerario di fede cristiana (40° di Q. di L.)

(segue da 39°)


Fianco a fianco al malato si parla, quando è possibile fa capolino anche il buonumore, si sta zitti insieme, si condivide quello che accade. Col passare dei giorni lo conosci nel suo declinare e anche se la realtà della tua vita non ha niente in comune con lui, non puoi non identificarlo con te stesso. Sei tu quell'uomo che soffre, che si lamenta; che piange nel suo "dolore totale", che dice la sua fede, le sue imprecazioni , le sue bestemmie, il suo tremendo silenzio: Gesù ha accolto tutto questo e mi chiede di fare altrettanto. Questa è la nuova condizione se voglio pregare, per lui o anche per me soltanto, perché ormai fa parte della mia vita, ci presentiamo insieme davanti al Signore, ciascuno a suo tempo.

Ma non voglio tacere una difficoltà grande, un peso che a volte opprime: l'assenza di Dio. Quando il dolore fisico schianta e sembra non avere fine, anche dentro di noi sentiamo una protesta. "Dio basta, non ne posso più, Dio dove sei?" Non voglio descrivere il dolore fisico perché il terrorismo psicologico non aiuta la serenità del giudizio, ma con un autore francese (M. Bellet) dico anch'io "Parole come coraggio, dignità, pazienza in quei momenti vorresti cancellarle dal vocabolario". L'assenza di Dio non è però solo un fatto di oggi. Tutta la storia ne parla e persino la Storia della Salvezza: tra gli ulivi del Getzemani nemmeno la supplica del Figlio di Dio ha ricevuto soddisfazione. E dopo la sua morte il mondo non è cambiato. C'è il pericolo che diventi un uragano di pensieri, di dubbi e di ansie.

A mettere pace, la figura di Gesù e le sue parole: "Il mio Regno non è di questo mondo". Al limite Gesù domanda "Volete andarvene anche voi?". Sono parole paurose e affascinanti, cui gli apostoli rispondono "Signore, da chi andremo?". L'assenza di Dio è un cammino verso una Fede che matura, sempre più incomprensibile e per questo più intima a Dio. Misteriosi i significati profondi delle Scritture e dei percorsi della vita, anche di quella di Gesù, che apparentemente inascoltato dal Padre conclude "Nelle tue mani consegno il mio spirito". Anche a noi rimane questo percorso: la Fede fondata sulla sua Parola, che ancora una volta non può essere dimostrata ma soltanto accolta, davanti alla sua passione e morte come davanti alla passione e morte del malato. "Sia fatta la tua volontà", perché so che Tu mi vuoi bene.

Allora accolgo di nuovo il malato e la sua croce, riscrivo sul vocabolario le parole che avevo cancellate "coraggio, dignità, pazienza", e ne cerco altre, trovo "amore, speranza,perdono".

Ho parlato della morte alla luce della fede cristiana, e la speranza è che si faccia strada in noi l'idea che può esistere anche una relazione di amicizia con la morte: S. Francesco la chiama "Sorella nostra morte corporale". Forse la vera paura che incute la Morte è la paura del "dopo", per i cristiani la paura di non essere tra i salvati. Devo guardarmi dal dimenticare anche una sola parola del Vangelo, ma so che Gesù non ha mai cessato di amarmi, mi ha voluto bene anche mentre mi diceva del Giudizio e dell'Inferno: allora sono parole di amore, non di minaccia. Devo abituarmi ad ascoltarle dal luogo del suo amore, non della mia paura. Nella descrizione della tempesta sedata sul lago di Galilea, le parole di Gesù "Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?" collegano la paura alla mancanza di Fede. Il Signore è sempre presente anche nelle tempeste con la sua misericordia. Dunque, se credo, neppure la salvezza del mio malato che dice di non credere, che vive una situazione di disagio...se ho Fede, persino la mia salvezza non è impossibile a Dio.

(segue)

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