venerdì 28 ottobre 2011

Dario, il mio amico (47° di Q. di L.)

( segue da 46° di Q. di L.)


Vedo Dario ansimare, è sconvolto; si agita in modo scomposto, a scatti afferra e ripone la maschera dell'ossigeno, il viso congestionato esprime sofferenza e paura. Impreca. La moglie è tranquilla "... E' sempre stato un tipo nervoso...". Evidente quanto sia alta la soglia del pericolo. Telefono subito al medico: 25 gocce sublinguali e 60 diluite e iniettate nel sondino. Pochi minuti, la crisi si avvia a soluzione. Sopraggiungono la dottoressa e l'infermiera e ritengo opportuno lasciare la casa. Ancora un saluto quieto, affettuoso anche da parte sua, accenna un sorriso, un grazie. Ora ha la forza di parlare con il laringofono. Il forte spavento induce Dario ad accettare senza indugi il ricovero all'Hospice dove, pur perfettamente assistito, spirerà la settimana dopo.


Riascolto mentalmente la lentezza faticosa del suono sommesso, la voce non permetteva di più, lo svolgersi di parole chiare, distinte: la bestemmia.


Sgomento; sorpresa, dolore, sofferenza , speranza, paura, amore, grido e silenzio, stati d'animo contrastanti, sensazioni, non c'è tempo per descrivere per riordinare, in me è un sentire unico nel bagliore di un attimo, in uno sguardo che vaga alla ricerca di Dio, in quella stanza. In punto di morte quasi una sfida a viso aperto.


Ho avuto la percezione della presenza non visibile ma reale di Dio. Persone, cose, in uno spazio interamente posseduto, colmo, allagato da Dio, improvvisamente unica realtà e riferimento assoluto. Senza parola, la sola presenza interpella. Nessuna via di fuga, nessun tempo che passa, tutto in attesa, immobilità dovuta. Attorno la realtà immutata, l'interesse e l'affetto verso il malato e insieme il disagio, la repulsione fisica per ciò che osservi e aggredisce, ma priva del coinvolgimento di prima, vi è distacco, tutto è sospeso, proiettato come in uno sfondo, nell'ombra. Non ho mai bestemmiato (non è un vanto), eppure davanti all'Immenso c'ero anch'io in quella bestemmia, anch'io nel male del mondo. Prima zitto, mi sono ritrovato a supplicarLo al plurale, "noi due", io in prima persona a contraddire l'ovvietà, in nome di un perdono che tante volte ho ricevuto e mi ha salvato; pregavamo, io e Dario inconsapevolmente con me. Il Signore che mi ha voluto tanto bene, non può non perdonarmi anche la colpa che ho nel mio compagno malato, non può non perdonare anche a lui e salvarlo come ha salvato me. Gli ho ricordato che per questo è stato sulla croce. Al nostro parlare m'è parso aggiungersi una voce. Ho ricordato Emmaus. Quando il Signore mi chiamerà vedrò Dario nella luce dei Santi.


La conversione, il pentimento...il catechismo? Non so, ma mi chiedo perché Gesù, che per anni ha annunciato con fermezza il Regno, abbia sentito il bisogno sulla Croce di amarci (oserei dire) "oltre" l'Annuncio e pregare con le parole "Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno".


Verso casa una via quieta, pochi passanti e poche macchine, e ripenso attonito all'amore e alla gloria di Dio nel segreto del quotidiano: in quella stanza scomposta un malato, una inferma di mente, un volontario. Accetto l'ironia di chi non crede, la compiacente perplessità dello psicologo; ma davanti a certe morti e certe esistenze, al tempo che chiude, capriccioso e sempre muto...o Dio c'è, il Dio di Gesù, oppure tutto non ha senso. Però la Fede non è una resa.


Signore spiegami più a fondo che cosa mi è accaduto oggi. Ti sono grato eppure ho timore, ho bisogni di chiederti perdono e bisogno di lodarti. Ma quali parole, dove troverò ciò che è degno?


" Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore " ( salmo 115,13 )

Nessun commento:

Posta un commento