venerdì 28 gennaio 2011

L'accompagnamento più ambito ( 30° di Q. di L. )

L'accompagnamento si è compiuto, e viene spontaneo ripensarne la storia, luci e ombre. Può succedere di indugiare più a lungo sulle emozioni forti conosciute e riviverle con un certo senso di gratificazione. Chiarire a sé stessi le capacità e i limiti propri, le possibili reazioni del malato può essere utile ed affinare "l'arte" e la saggezza dell'accompagnamento, fa parte del percorso personale di maturazione e di autocontrollo che offre il volontario domiciliare.

Mi sembra tuttavia importante non assolutizzare la propria esperienza, tanto più se maturata in un clima di insolita complessità; ne nascerebbe una sottile propensione verso "il caso eccezionale", per il quale soltanto varrebbe la pena di spendersi.

Le situazioni particolarmente gravi attraggono perché chiedono forte senso di responsabilità, di partecipazione e insieme capacità di distacco, e possono diventare motivo di confronto, a volte di autoaffermazione.

Resta tuttavia un possibile fraintendimento di valori, quello di sottovalutare l'importanza degli atti consueti, ripetitivi, delle situazioni comuni nel rapporto della quotidianità.

Tutto l'accompagnamento può essere pensato come fedeltà costante a sostenere nell'ordinario l'eventualità che la malattia impone, innamorandosi delle cose umili del momento: il servizio reso al familiare, la battuta allegra, il silenzio condiviso per un'inquietudine che assilla o un sorriso appena accennato.

Le piccole cose avviano alle grandi, ma nell'apparente penombra delle prime è più facile l'umiltà e il silenzio nell'ascolto dell'amore, della vita: cioè del bene che gratuitamente scambiamo e respiriamo con tutti, anche con chi a volte non se ne accorge.

Condividere la sofferenza e la fine di un uomo aiuta a comprendere come l'amore sia l'unico riferimento sempre possibile di fronte all'impossibile: è il senso delle parole che spesso ascoltiamo dai parenti in lutto.

Di questo amore gratuito mi sembra espressione semplice e luminosa che il volontario non scelga il malato con cui iniziare l'ultimo tratto del cammino.

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